Curse of the Dead Gods – Recensione

When The Gods don’t fall

Prendete l’ormai celebre Hades, aggiungeteci Darkest Dungeon e una spruzzatina di Dead Cells, mescolate per bene l’impasto con qualche meccanica da hardcore game ed otterrete così Curse of the Dead Gods. Dopo circa un annetto di accesso anticipato, il 23 febbraio scorso fa il suo debutto in versione 1.0 il titolo sviluppato da Passtech Games e prodotto da Focus Home Interactive, responsabile di quel piccolo grande capolavoro che è stato A Plague Tale: Innocence. In questo caso però ci troviamo d’innanzi a qualcosa di molto diverso, lasciate che vi introduca in questo dungeon maledetto.

Un titolo per nulla banale che può attirare sia gli amanti dei rougelike più classici, quanto chi preferisce i soulslike

Come potete avere intuito dai titoli citati poco sopra ci troviamo di fronte ad un rougelike che prende spunto da ognuno di questi giochi creando di conseguenza un mix accattivante; si prende solo il meglio dai precedenti, ma inserendovi a sua volta qualcosa di unico come un sistema di combattimento molto tecnico. È noto che queste tipologie di gioco “pecchino” spesso nella componente narrativa, risultando sempre criptici, spingendo talvolta il giocatore a leggere un bestiario per entrare a pieno nella lore di gioco senza poter contare su dialoghi diretti. Curse of the Dead Gods rispecchia appieno questo tipo di rougelike vecchio stile, buttandoci da subito nell’azione e tralasciando totalmente la narrazione. Si può intuire il filo conduttore della storia che vede una sorta di archeologo all’Indiana Jones intento all’esplorazione di un antico tempio Azteco, ma inesorabilmente il nostro eroe ne rimane intrappolato e solo avanzando piano dopo piano potrà forse tornare a vedere la luce del sole. Tutto il resto si può ricavare invece dai menù di gioco, come il bestiario appunto, che diverrà sempre più dettagliato man mano che si sconfiggeranno le tipologie di avversai proposti.

Il gameplay è il motivo per giocare a questi titoli e in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di molto tecnico e oserei dire completo, ma prima di descrivere le dinamiche di gioco è bene introdurre l’hub centrale. Non abbiamo di certo un palazzo in cui muoverci come in Hades, bensì una singola stanza; in questa è presente una grande incisione tribale sulla quale è possibile avere il collegamento con gli inferi. Non abbiate timore, si tratta semplicemente di un menù globale dove poter sbloccare la maggior parte dei perk iniziali di ogni singola partita, tra cui benedizioni, armi, potenziamenti a loro legati e favori divini. Le benedizioni sono abilità passive, se ne possono ottenere fino a tre e verranno scelte dal giocatore in base anche al suo stile di gioco: alcune sono di semplice comprensione e per esempio aumentano l’attacco quando si subisce danni, ma altre possono presentarsi come più sofisticate, da sbloccare tramite dei teschi di cristallo che non sono altro che una valuta ottenibile nei dungeons. Le armi invece sono sbloccabili tramite un’altra moneta, dei cerchi verdi, anche questi ottenibili dopo il completamento di un livello di gioco; sbloccando le armi si potrà avere la possibilità di trovarle all’interno dei labirinti o come arma iniziale. Sono presenti varie tipologie, con una primaria (solitamente spade, mazze, artigli), una secondaria (come pistole, scudi, fruste, pugnali) e armi pesanti come lance, archi. I favori divini rappresentano la possibilità di poter cambiare le ricompense potenzialmente ottenibili completando una stanza e il numero di utilizzi può essere acquisito in cambio di teschi. Per ultimo invece abbiamo la possibilità di potenziare quello che è presente nell’hub centrale, come aumentare il numero di altari che offrono armi oppure il livello delle armi effettivamente presentate, anche se questi miglioramenti avranno un grande costo in teschi.

La struttura del gameplay invece è tanto semplice quanto decisiva. Ci vengono presentai inizialmente tre dungeon, i quali una volta completati ne sbloccheranno di successivi fino a giungere alla vetta della piramide. Selezionato il punto di partenza ci sarà visibile una mappa con il percorso da compiere fino al boss, saremo noi a decidere qual sarà la prossima stanza da affrontare, sapendo già quale ricompensa potremmo ottenere, grazie ad una semplice legenda, anche se talvolta si potrà avere una stanza incognita. L’ottenere il potenziamento oppure la nuova arma però non sarà affatto gratuito, si dovrà fare un’offerta di oro oppure di sangue, la decisione sarà sostanziale per il proseguimento. Ed è qui che entra in gioco la grande particolarità del titolo, ovvero le maledizioni. Nell’angolo in basso a destra è presente una barra della corruzione che si riempirà una volta che subirete danni al buio, ogni qualvolta attraverserete una porta per cambiare stanza, in particolari stanze di cura e dopo l’offerta di sangue per ottenere ricompense. In questo caso specifico la quantità di corruzione che si otterrà per il gesto viene mostrata chiaramente. Una volta che la barra è piena alla prossima stanza si attiverà una maledizione randomica, ma non temete: alcune possono anche essere utili in un certo senso; si possono accumulare fino ad un massimo di 5 maledizioni, ma l’ultima non la consiglio veramente a nessuno, scoprirete voi il perché. Da sottolineare che in ogni caso una volta sconfitto un boss sarà possibile togliersi una maledizione e in ogni caso sono presenti armi e reliquie che diminuiscono il numero dei punti corruzione ottenuti.

Come ho ripetuto più volte sul fronte del combat sistem ci troviamo di fronte a qualcosa di molto tecnico; abbiamo un’arma primaria, una secondaria e una pesante che possono essere utilizzate in combo anche abbastanza sofisticate. Il vero fulcro però è rappresentato dalla resistenza, ovvero cinque pallini visibili ai piedi del nostro personaggio che rappresentano la stamina. Questa si consuma nel momento in cui eseguiamo una combo, carichiamo un singolo attacco, effettuiamo una rotolata per schivare oppure una parry per parare l’attacco; viene poi ricaricata quando smettiamo di attaccare. Eseguire parry e schivate perfette, in alternativa, permette di ricaricare immediatamente quel punto perso nell’esecuzione, mentre sono comunque presenti vari strumenti che aumentano i punti resistenza a disposizione. Per incentivare ulteriormente le dinamiche di combattimento è necessario gestire la luce durante i combattimenti, grazie ad un simbolino nella parte inferiore dello schermo che ci ricorda la presenza o meno di illuminazione. I danni subiti al buio saranno infatti maggiori e potranno inoltre aumentare la corruzione; per questo motivo il nostro personaggio è munito di torcia e può accendere fiaccole se presenti nella stanza, oppure dare fuoco ai nemici per creare fonti di luce alternative.

Artisticamente abbiamo di fronte un prodotto caratteristico e ben curato sotto quasi tutti i punti di vista, partendo dai nemici standard fino ai boss, ottimamente curati e modellati, passando anche per le ambientazioni, differenti a seconda del dungeon che si vuole affrontare. Allo stesso modo il fatto di dover fisicamente giocare con l’illuminazione ambientale è un tocco di classe non da poco, creando ancora più patos nel momento in cui la tua unica fonte di luce si spegne durante un combattimento. Questo fattore grafico viene accentuato maggiormente nella modalità “eventi” ovvero tre labirinti differenti e che si rinnovano giornalmente, al cui interno l’intero mondo prende una piega ancora più distorta. L’intera visuale è filtrata con un effetto bianco e nero da pellicola di vecchi film, inoltre tuttei gli indicatori, compresi quelli della vita e dell’oro posseduto non sono presenti, portando il giocatore ad essere inconsapevole e con la consapevolezza di trovarsi sempre sul filo del rasoio. Questa modalità si dimostra la ciliegina sulla torta per Curse of the Dead Gods. Non mi ha invece convinto il fatto che non sia effettivamente presente una sorta di colonna sonora autentica che richiami tutto ciò che abbiamo detto fino ad ora, una piccola sbavatura in questo piccolo capolavoro.

Curse of the Dead Gods dimostra che l’ambizione, se ben supportata, può portare grandi risultati, considerando tutte le dinamiche che sono state inserite e come riescono a funzionare tra loro. Mi è capitato di giocare altri rougelike che volessero imitare in qualche modo lo stile di combattimento di un soulslike, ma purtroppo sempre fallendo. In questo caso però l’esperimento è riuscito e con assoluto successo. C’è qualche piccola pecca come la mancanza di una narrazione diretta o di una colonna sonora adeguata, ma tutto il resto dimostra un lavoro a dir poco eccelso. Ormai siete stati maledetti, tanto vale proseguire dentro il tempio.

Pro
  • – Difficoltà ben bilanciata
  • – Dinamiche di gameplay variegate
  • – Modalità “Eventi”: una sopresa fantastica
Contro
  • – Mancanza di narrativa diretta
  • – Assenza di una colonna sonora portante

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