Ghostwire Tokyo – Recensione

Tango Gameworks e Shinji Mikami tornano in azione

Ghostwire Tokyo è stato capace di creare una forte attesa fin dal suo annuncio, vista anche la fama dello sviluppatore giapponese Tango Gameworks. Lo studio è infatti stato fondato da Shinji Mikami, creatore, tra le altre cose della saga di Resident Evil. La sua vena horror è poi continuata con i due The Evil Within, ma con questa nuova produzione ha scelto si spostare un po’ il target, eliminando la deriva più horror e splatter, per creare qualcosa di più esoterico ma non per questo meno evocativo.

Una Tokyo deserta tutta da esplorare tra i fantasmi dell’affascinante cultura giapponese

Una storia di fantasmi e i suoi protagonisti

La prima emozione che ci viene trasmessa da Ghostwire Tokyo è lo straniamento. All’inizio ci si sente insomma come se si fosse arrivati al cinema con mezz’ora di ritardo. All’incrocio di Shibuya è appena avvenuto un incidente quando una nebbia fittissima arriva come un’onda e fa svanire completamente tutti gli abitanti della città. Akito, rimasto coinvolto nell’incidente, è l’unico che non viene dissolto, scoprendo suo malgrado di essere stato posseduto da KK, un’entità che gli ha impedito di svanire come il resto delle persone e che lo obbliga a risolvere la situazione prendendo parzialmente il possesso del suo corpo. Akito però si trovava a quell’incrocio perché si stava recando all’ospedale per vedere sua sorella malata e con l’intento di scoprire che ne è stato di lei, inizia un’avventura molto affascinante ambientata nella capitale giapponese.

I resti di quelli che sono spariti per colpa della nebbia rendono questa Tokyo davvero speciale

La narrazione di Ghostwire Tokyo si fa subito interessante grazie ai tre personaggi principali, ossia Akito, KK e la stessa città di Tokyo. Il primo perché fa da avatar per il giocatore in modo perfetto, dimostrandosi il classico tizio qualunque finito in una situazione assurda da cui non sa come uscire, e che scopre quel mondo esoterico insieme a chi impugna il controller. KK è invece la guida spirituale, letteralmente, che parla con Akito, gli spiega come funziona il mondo degli spettri che si è intrecciato con la realtà ma allo stesso tempo nasconde più di un segreto. Infine c’è Tokyo, la città ricca di luci e densamente popolata che tutti conosciamo ma che stavolta si dimostra desolata e oscura, costantemente notturna e con piogge intermittenti che aumentano l’atmosfera. Le strade mostrano ancora i segni della sparizione improvvisa, con gli abiti di chi stava camminando che ora giacciono a terra senza più i corpi dei proprietari da avvolgere. Troveremo parchi, grattaceli in costruzioni, tunnel della metro, centri commerciali e moltissime altre location ispirate alla vera Tokyo. La voglia di farci conoscere la cultura giapponese è evidente anche tramite le descrizioni che ci vengono fornite su luoghi, oggetti e cibi, tutti catalogati e descritti in modo certosino nei menu e in grado di offrire informazioni curiose e inusuali a chiunque voglia aumentare la propria conoscenza.

Mappe e attività

La mappa in continua espansione non diventa mai troppo grande, e questa è un’ottima notizia

Nella sua veste originale di “guida turistica per una Tokyo spettrale”, Ghostwire Tokyo può essere accostato con cautela agli action in prima persona, ambientati in una mappa aperta. Non lo definirei volutamente un free roaming open world perché, a differenza di alcune recenti uscite che ci portavano avventure all’interno di mondi davvero enormi e talvolta dispersivi, nell’avventura di Akito e KK, le zone visitabili si sbloccano pian piano e soprattutto sono spesso raggiungibili in poco tempo e senza aver bisogno di veicoli. A Tokyo ci si muove a piedi, e al massimo si possono sfruttare la possibilità di planare per alcuni secondi e un’abilità che vi permette di agganciarvi ad alcuni demoni tengu che vi faranno raggiungere altezze notevoli. Esistono missioni principali e altre secondarie, oggetti da collezionare per poi rivenderli a, beh, gatti magici volanti, così come statue jinzo su cui pregare per aumentare i propri poteri, ma il level design si dimostra denso di attività, tutt’altro che dispersivo e con molti elementi verso cui si può eseguire un viaggio rapido che effettivamente tiene fede al nome che porta.

Non è splatter o violento come altre uscite, ma non mancano alcuni momenti intensi

A parte alcune attività che implicano soprattutto la ricerca di oggetti in un’area comunque segnalata e in cui potete usare la visione spettrale (abilità utilissima perché rileva nemici e oggetti nei paraggi), le missioni principali sono ovviamente quelle strutturate meglio. Vi portano a scoprire luoghi e meccaniche di gameplay, ma anche la loro struttura offre il meglio della produzione, con effetti speciali inquietanti e situazioni sempre originali. Le missioni secondarie non sono sempre così centrate, ma in ogni caso ho trovato estremamente piacevole affrontarle: alcune ci portano a visitare aree interne come i bagni pubblici giapponesi, un’altra ci porta a cacciare lo spirito di un accumulatore che ha riempito la sua casa di spazzatura. Queste sono quelle più strutturate e che funzionano meglio, mentre altre, solitamente molto più brevi, ci chiedono di seguire e sconfiggere un nemico speciale di soppiatto, o di raggiungere alcune aree per analizzarle. Inoltre, per tutta l’avventura dovrete usare bamboline di carta per assorbire in esse le anime di chi si è dissolto così che possiate poi usare un telefono per salvarle trasferendolo fuori da Tokyo, ottenendo monete e punti esperienza. Suona strano? Lo è eccome, però tutte queste attività ci portano ad approfondire il legame di Akito con KK e soprattutto ci offrono ricompense utili per poter potenziare i poteri spiritici del personaggio. Migliorare la potenza dei propri colpi, aumentarne la velocità o l’ampiezza, portare con sé più munizioni per l’arco o equipaggiare più rosari, sono tutte possibilità che miglioreranno l’esperienza generale e vi renderanno più efficaci in combattimento.

Eliminare spettri a Tokyo

Il combat system è spetacolare ma le sue dinamiche sono un po’ troppo semplici, specie all’inizio

Questa volta Shinji Mikami ha abbandonato l’inquadratura in terza persona che ha applicato da Resident Evil 4 in poi, indirizzandosi verso una visuale in soggettiva molto funzionale. Trattandosi di un’avventura nel mondo degli spiriti, non troverete armi classiche, se si esclude un arco che potrà tornarvi utile soprattutto in certe situazioni in cui torna la voglia dell’autore giapponese di metterci pressione e farci scappare, piuttosto che combattere. Procedendo lungo le prime ore troverete poteri del vento, del fuoco e dell’acqua, tutti capaci di farvi sparare colpi speciali che possono anche essere caricati per diversificare l’effetto. Il potere del vento vi fa lanciare deboli attacchi in linea retta o, più colpi in fila dopo un breve caricamento; con l’acqua potrete colpire a ventaglio davanti a voi, mentre con il fuoco avrete o un potente colpo frontale, o una granata esplosiva. Arriveranno poi anche i talismani, lanciabili a terra come bombe ma con diversi effetti, tra cui per esempio quello di immobilizzare i nemici.

Le mani di Akito all’opera per l’ennesima bonifica spettrale

Il combattimento permette anche di difendersi con parate standard e altre perfette che annullano il danno e allontanano gli spettri ostili, ma in linea generale le battaglie, per quanto spettacolari e ricche di effetti speciali, mostrano il fianco a dinamiche piuttosto basilari. Solitamente infatti si indietreggia per creare spazio tra chi ci attacca corpo a corpo e noi che usiamo colpi a distanza. Si rimane spesso sulla difensiva perché il nostro attacco ravvicinato non fa molti danni e avvicinarsi risulta utile solo dopo aver sbloccato l’eliminazione istantanea sugli spettri storditi. Questa dinamica è quella che utilizza i fili fantasma (i Ghostwire del titolo) per distruggere i nuclei nemici, chiedendoci di tener premuto il grilletto sinistro e permettere gli abili movimenti delle mani di Akito per effettuare l’eliminazione. Se però qualcuno vi attacca durante la procedura, il nemico si riprende e torna alla carica con l’energia recuperata. Ci sono momenti specifici in cui dovrete affrontare orde di spettri in apposite arene fuori dalla dimensione terrena, ma ci sono anche casi in cui è più utile e sicuro agire di soppiatto in modalità stealth. Questo approccio va valutato attentamente specie nel caso vi troviate davanti fantasmi più potenti, anche se spesso è preferibile usare il tempo in cui i nemici sono ignari per caricare un colpo potente piuttosto che tentare attacchi alle spalle.

Arte e tecnica

Tecnicamente non è tutto perfetto, ma la cura per gli ambienti e lo stile sono eccellenti

Tecnicamente Ghostwire Tokyo può apparire un po’ grezzo, specie se non si azzecca la giusta impostazione grafica. Nel nostro caso abbiamo trovato la quadratura del cerchio scegliendo Modalità prestazioni HFR (V-Sync), visto che i 4K e l’assenza della sincronizzazione verticale offrivano prestazioni poco fluide e scostanti. In questo modo la bellezza di Tokyo è garantita, così come gli ambienti, gli effetti spettrali e i combattimenti. Notevole il design dei nemici, che rispecchiano le paure, le ansie e le leggende giapponesi, con uomini d’affari senza volto che vagano per la città, studenti senza testa e identità che attaccano chiunque, donne armate di armi contundenti e creature mitologiche di vario tipo, compresi i celebri yokai. La critica a questa società orientale è evidente ma mette in mostra anche il fascino dei suoi elementi più antichi. Le musiche sono perfettamente integrate nell’atmosfera, andando da sonorità tipiche a canzoni moderne suonate all’interno dei negozi in cui vi rifornirete. Anche il Dual Sense reagisce a meraviglia alle situazioni, simulando la pioggia che cade e che sembra ticchettare sul controller, così come i grilletti adattivi che offrono più o meno resistenza in base a quello che starete facendo. Il gioco è doppiato interamente in diverse lingue compreso un buon italiano, ma visto il contesto, non è folle pensare di giocarlo con il doppiaggio originale giapponese, facendosi comunque aiutare dagli ottimi sottotitoli nella nostra lingua.

Commento finale

L’incrocio di Shibuya da cui tutto parte

Non fate l’errore di accostare Ghostwire Tokyo ad un classico free roaming in prima persona. La mappa è aperta e invoglia all’esplorazione, ma muoversi per le strade vuote della capitale è ben diverso rispetto a correre, guidare o volare attraverso giungle, campagne o deserti. Qui è tutto più vicino e dettagliato, ogni elemento si raggiunge velocemente e solo quando serve. La progressione è regolata ad arte e visto il design e le idee messe in campo è davvero un piacere cercare una soluzione alla folle realtà attorno ai protagonisti. L’unico vero limite lo possiamo rivolgere al combat system, abbastanza ingessato e limitante nei movimenti, seppur ci permetta di vivere combattimenti spettacolari dal punto di vista grafico. La difficoltà è regolabile e la parte horror è molto più limitata rispetto alle precedenti opere di Tango Gameworks, limitandosi a qualche spavento, qualche momento più teso, ma senza mai scendere nello splatter di altre produzioni. Se quindi amate il mondo giapponese, volete provare un’esperienza diversa dal solito e capace di farvi conoscere meglio la parte più esoterica di quella cultura, fatevi avanti: Akito e KK vi aspettano all’incrocio di Shibuya.

Pro
  • – Akito e KK creano una bella coppia
  • – Tokyo e densissima di cose da fare
  • – Molte attività secondarie piacevoli
  • – Molte idee, quasi tutte ben realizzate
  • – Comparto tecnico valido alla giusta impostazione grafica
  • – Comparto audio eccellente
Contro
  • – Combat system divertente ma un po’ rigido e limitato
  • – Comparto tecnico non esaltante per chi cerca 4K e fluidità costante

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