Da anni From Software è sinonimo di qualità. Da quando uscì il lontano Demon’s Souls, la strada della software house nipponica è stata costellata di successi, prima con la serie cugina Dark Souls e poi con l’inedito Boodborne, esclusiva Playstation 4 che arrivò tra Dark Souls II e il terzo e conclusivo episodio. Le sfide difficili sono sempre state un tratto distintivo per Hidetaka Miyazaki e il suo team che, con Sekiro: Shadows Die Twice, ha scelto di sfidare sé stesso e di cambiare registro in modo piuttosto netto, senza però rinunciare ad alcuni tratti distintivi dei propri prodotti. Dimenticate quindi molti elementi tipici degli RPG, perché in Sekiro le statistiche lasciano spazio a disciplina, tempismo e sangue freddo.
Lontani dalle favoleggianti, seppur oscure, fortezze di Anor Londo o dalla città di Yharnam, in Sekiro ci troveremo nel periodo Sengoku del Giappone feudale (il nostro sedicesimo secolo). Qui vestiremo i panni di uno shinobi che dopo aver perso uno scontro e un braccio e ha assistito al rapimento del proprio Signore. Vendetta e redenzione saranno il suo scopo, scandendo una storia principale molto più chiara di un qualsiasi altro titolo per cui From Software è diventata celebre. Ciò non significa che non vi aspettino subquest maggiormente criptiche o situazioni che possano dare addito a supposizioni e addirittura collegamenti appena sussurrati ad altri lavori dello sviluppatore. Non c’è una distinzione tra attività primaria o secondaria, ma un’unica avventura che intreccia comprimari, situazioni, leggende, filosofie e concetti mistici rendendoli il collante per un’avventura tanto affascinante quanto complessa.

Nella maggiore leggibilità della storia principale, si potrebbe vedere lo zampino di Activision, produttore americano che poco sembrerebbe centrare con questo viaggio nel mondo orientale. La maggiore chiarezza richiesta a From Software ha coinvolto anche le primissime fasi dell’avventura, con una serie di tutorial classici che non hanno mai trovato posto nei precedenti lavori, lasciando spazio giusto a qualche scritta per terra per indicarci i comandi di base. Qui invece ci viene spiegata l’importanza di muoversi nell’erba alta, come si combatte, come ci si arrampica sui muri, diradando immediatamente ogni dubbio ogni qualvolta potrebbe sorgerne uno. Questa voglia di prendere per mano il giocatore insegnandogli a giocare seguendo le nuove regole imposte da quello che NON è un Souls, potrebbe far pensare che Sekiro sia un gioco accondiscendente e facile. Pensandola così vi troverete immediatamente morti stecchiti.

È vero che Sekiro è molto chiaro nelle sue regole, ma come un buon samurai, è anche ferreo quando vuole farle rispettare. Imparare a muoversi è fondamentale anche durante l’esplorazione: una delle più grandi introduzioni consiste nel salto. Non quel saltello complicato da eseguire e spesso inutile che si vede nei Souls, ma un vero e proprio salto da Action Game con tanto di pulsante dedicato. Lo userete per saltare sugli ostacoli, lo potrete eseguire a parete per guadagnare ulteriore slancio, così come in battaglia per schivare potenti colpi alle gambe o per eseguire affondi. La verticalità degli scenari raggiunge il suo culmine grazie al rampino, il primissimo attrezzo da shinobi che sarà montato sul vostro braccio prostetico subito dopo aver subito la sconfitta nel prologo. Mirando ad un appiglio visualizzato in verde, il nostro lo aggancerà e si isserà rapidamente su di esso, sia che si tratti di un tetto, piuttosto che di un ramo. Passare da un appiglio all’altro è un modo per raggiungere posizioni elevate ed osservare i dintorni a caccia di tesori da raggiungere e di nemici da eliminare istantaneamente attraverso tecniche stealth. Sì perché in Sekiro: Shadows Die Twice è presente in abbondanza il concetto di eliminazione silenziosa, cosa che nei Souls veniva gestita principalmente con i colpi alla schiena. Qui, se avete tenuto sotto controllo le icone di rilevamento tipiche del genere, potrete colpire dall’erba alta, piombando sul malcapitato dal cielo o semplicemente raggiungendolo di soppiatto alle spalle: vi basterà eseguire il lock on tipico di From Software sul nemico e, appena il puntino diventerà rosso, potrete colpire con la certezza di aver eliminato quella minaccia.
Quando le cose vanno storte o semplicemente non vedete alternative, entra in scena il combat system, altra novità assoluta che, vista la differenza abissale rispetto ai Souls, si avvicina molto più ad un Ninja Gaiden. Sekiro ha un’agilità che i guerrieri/maghi/chierici che avete usato in altri titoli From Software si sognano: niente rotolate evasive, ma schivate, salti e soprattutto parate. Una volta capito che in Sekiro non esiste una barra della stamina da tenere sotto controllo (e credetemi, non è immediato rendersene conto dopo anni di attacchi ragionati), potrebbe sembrare che attaccare a ripetizione sia una buona mossa. Invece, solitamente, per poter intaccare la barra vitale dell’avversario occorre sbilanciarlo riempiendo la barra della Postura che, una volta piena, vi darà la possibilità di eseguire un attacco letale. Si dà però il caso che anche gli avversari possano fare lo stesso, con ogni colpo che parate normalmente che preserverà la vostra salute rendendo però più critica la vostra postura.

Che fare quindi? La soluzione è la parata perfetta, qui chiamata deviazione: questa pratica prevede la pressione del pulsante dedicato alla parata un attimo prima che il colpo ci raggiunga e, se eseguita correttamente, non solo preserverà la nostra barra della postura, ma andrà a riempire quella dell’avversario, permettendo poi solitamente anche qualche colpo. A ciò si aggiungono ulteriori mosse che acquisirete un punto abilità alla volta, alcune sempre eseguibili come il mikiri, efficace per controbattere gli affondi, altre delegate alla pressione contemporanea dei due dorsali ed equipaggiabili una alla volta. Quello che deriva da questo combat system solo apparentemente basilare, è una serie di combattimenti altamente spettacolari da giocare ma anche da vedere, con scintille e animazioni eccellenti che enfatizzano una lotta pura e brutalmente aggraziata che saprà fornire grandi soddisfazioni una volta padroneggiata.
Tenete però presente che per raggiungere le soddisfazioni di cui parlavo, dovrete morire tanto, probabilmente tantissimo. Anche in questo caso Sekiro si distingue dai Souls, con un sistema di morte e rinascita familiare ma diverso. Quando si muore infatti, non si lasciano pozze di sangue da raggiungere per recuperare quello che si è perso, ma si deve dire addio immediatamente alla metà del denaro raccolto e a metà dell’esperienza accumulata tra un punto abilità e l’altro, a meno che non si scelga di usare una resurrezione istantanea tra le due possibili: una si ricarica eseguendo colpi letali sui nemici, l’altra semplicemente riposando agli idoli che ricordano i più celebri falò, facendo ricomparire tutti i nemici standard nell’ambientazione.

L’unico modo per migliorare il nostro personaggio è comprando abilità con i punti che ci saremo assicurati, senza però poter migliorare statistiche che, di fatto, sono assenti se non per quanto riguarda energia e forza fisica. L’assenza di una creazione del personaggio quando si avvia una partita fa intuire che giocheremo con un Sekiro uguale per tutti, ma la componente di potenziamento del personaggio in Sekiro è limitata al superamento di boss e miniboss. Sconfiggendoli si possono potenziare queste caratteristiche, così come le fiaschette della salute e il braccio prostetico, ma se avete problemi nello sconfiggere un potente nemico, oltre a provare ad ottenere ulteriori abilità, non potrete fare altro che tentare e ritentare. Il farming dei Souls che talvolta ci potenziava quel tanto che bastava per sopravvivere ad un boss qui è assente, chiedendo al giocatore di imparare i pattern d’attacco e di controbattere colpo su colpo fino a incrinarne la postura.

E già che siamo in tema, parliamo un po’ di questi spietati nemici che vi faranno sudare ben più delle sette proverbiali camicie. Intanto va specificato che il loro numero è molto elevato, arrivando a circa 50 unita. Anche in questi casi rompere la loro postura diventa importantissimo, ma non sempre il risultato si ottiene allo stesso modo. Riuscirci poi non pone certo fine allo scontro come avviene contro i normali nemici, ma svuota solo una delle varie barre di cui dispongono, un po’ come avveniva nei beat ‘em up di un tempo. Il procedimento va quindi eseguito più volte, creando situazioni tanto esaltanti quanto pericolose mentre si cerca di leggere i vari movimenti dell’avversario di turno. Se per i boss non si può essere particolarmente creativi visto che l’area di scontro è quella pensata dagli sviluppatori, con i miniboss si può tentare di giocare con loro, eliminando la prima barra di cui sono dotati anche attraverso attacchi stealth che poi daranno il via al duello vero e proprio.

Gli idoli sono ben posizionati all’interno delle aree mentre il design generale della mappa risulta un po’ meno articolato rispetto ai Souls, con meno scorciatoie e passaggi segreti, probabilmente ridotti per via della maggiore mobilità del nostro shinobi. I paesaggi sono però evocativi e funzionali, ricreando un’epoca già vista tante volte ma sempre emozionante. In questo ci viene in aiuto un motore grafico più agile rispetto a quello dei precedenti titoli From Software, scelta probabilmente obbligata dal tipo di combat system. Il risultato non è fenomenale ma dà belle soddisfazioni, sia mentre si esplora questo misterioso mondo, sia quando si lotta. Ottimo anche il comparto artistico che parte proponendo umani più o meno vari, per poi sfociare anche in minacce più insolite ma sempre interessanti, dimostrando la capacità degli sviluppatori in questo settore. Valido anche il comparto sonoro con musiche orientali che enfatizzano gli scontri più accesi e con un doppiaggio che di default è selezionato in giapponese con i sottotitoli in italiano. Va però evidenziato che anche il doppiaggio è presente in italiano e seppur si sia sentito di meglio in questi ultimi anni, è una scelta che potrà far felici i giocatori che preferiscono seguire la vicenda nella propria lingua.

Sekiro: Shadows Die Twice è il gioco che dimostra l’abilità di From Software nel creare titoli con elementi in comune ma fondamentalmente diversi. Magari lo si compra pensando di avere un Souls in salsa nipponica come fu qualche anno fa Nioh, ma la realtà è che quest’avventura è molto più simile ad un action adventure moderno. Solo che è difficilissimo. Non poter avere più energia o più potenza per sconfiggere un boss è qualcosa che potrebbe davvero fermare il giocatore meno paziente, obbligandolo a interrompere il gioco a tempo indeterminato. Tentare e ritentare, come farebbe un vero samurai, è l’unico modo per riuscire. Quando l’ostacolo è alle spalle la soddisfazione è ancora maggiore che nei Souls ma non tutti potrebbero essere in grado di abbatterlo. Se non vi siete mai avvicinati ad un titolo della software house nipponica, Sekiro potrebbe essere troppo, specie se per voi sono molto importanti alcune lacune nelle sezioni stealth, una telecamera tutt’altro che perfetta in certi frangenti e un personaggio non personalizzabile secondo le vostre esigenze. Se invece cercate un titolo che sembra simulare l’inflessibilità di un maestro orientale, sfidandovi costantemente e spingendo al limite i vostri riflessi e la vostra pazienza, allora la missione del Lupo senza una zampa saprà conquistarvi, anche più di un classico Souls.
- – Universo di gioco profondo
- – Combat system reattivo e pulito
- – La possibilità stealth è gradita
- – Le mappe sfruttano bene la verticalità
- – Tantissimi boss per farvi penare
- – Quattro finali e New game +
- – Comparto tecnico evocativo
- – Così difficile da poter bloccare completamente un giocatore non esperto
- – Telecamera imperfetta
- – IA nelle fasi stealth limitata al livello di rilevamento
