Quando i cavalcatori di draghi incontrano un futuro Sci-Fi distopico… Può scatenarsi solo il caos.
Videogiocare è una passione aperta e indiscriminata. Tra chi vuole un’esperienza più incentrata sul gameplay e chi vuole semplicemente divertirsi con gli amici risiedono coloro che cercano qualcosa di diverso. Qualcosa di talmente strano e di nicchia che sorgerebbero problemi anche solo al fine di raccontarne le vicende. In questa strana categoria, se così possiamo chiamarla, casca con tutte le scarpe una serie longeva ma davvero poco conosciuta in terra nostrana, figlia della collaborazione tra uno sviluppatore di nome Yoko Taro e il blasonato publisher/developer Square Enix.

Nel lontano 2003 il primo risultato di questo strano connubio, tale Drakengard, ha visto la luce del sole ed è stato accolto tiepidamente dalla critica con recensioni che cantavano le lodi della trama ammettendo al contempo gravi mancanze a livello di gameplay. Effettivamente Drakengard è un po’ così come fu dipinto: un gioco sofferto a livello di trama con un gameplay generalmente ripetitivo e poco interessante. L’esperienza del primo Drakengard è in soldoni un ridondante e deprimente Musou, genere a cui appartengono i giochi della serie Warriors.
La storia racconta le vicende di un guerriero muto di nome Caim che cerca con tutte le forze di salvare sua sorella dalle grinfie del suo ragazzo che ha perso la testa per ragioni non ben note. Diversamente da ciò che può sembrare, alle domande poste dalla trama non seguiranno vere e proprie risposte. Si aggiungeranno, piuttosto, sempre più interrogativi su personaggi e situazioni a tal punto da costringere a continuare a giocare anche dopo aver finito la storia. Impareremo presto che nei giochi di Yoko Taro la parola “fine” è fittizia, dato che sia i Drakengard che la dualogia di NieR contengono svariati finali, ognuno di essi concentrato su determinati elementi della trama o dei personaggi.

“Ricominciare il gioco”, anche se effettivamente non lo stiamo ricominciando, è una pratica adottata dalla serie fin dal primo titolo, che aumenta esponenzialmente l’intera durata delle vicende e aggiunge dettagli vitali per comprenderne ogni sfaccettatura. In ogni “Replay” della storia compaiono nuovi personaggi secondari, vicende osservate da altri punti di vista e sviluppi leggermente differenti rispetto al playthrough precedente. Di certo queste sono variazioni che invogliano il giocatore a continuare, ma purtroppo per proseguire bisogna interfacciarsi con le gravi lacune che il gameplay non riesce a colmare, perlomeno nel primo titolo della serie. Le vicende di Drakengard seguono sempre e comunque la stramba linea narrativa del socialmente scorretto, lasciando poco spazio a ciò che è giusto e costringendo spesso il giocatore a compiere scelte sofferte e per niente legate alle convenzioni del buonsenso.

A seguito del primo Drakengard, che contava ben cinque finali diversi, la storia si è divisa. La linea narrativa di Drakengard con i quattro finali “principali” è continuata con i seguiti numerati della serie e ha mantenuto lo stesso nome, mentre il quinto finale, pensato come “Joke Ending” da parte di Yoko Taro, ha mutato forma, diventando il prologo della serie di NieR nel 2010. Seppur sia arrivata da noi solo una delle due versioni del titolo (chiamato NieR: Gestalt, che cambia il rapporto tra i protagonisti originali, fratello e sorella, con un rapporto padre-figlia), anche noi potremo presto apprezzare la versione “inedita”, chiamata NieR: Replicant, grazie alla sua Remaster/Remake in uscita nei prossimi giorni su Playstation 4, Xbox One e PC. Drakengard e NieR ci insegnano che spesso non esiste una scelta giusta o sbagliata, ma esistono solo le scelte che più ci fanno comodo, nella maniera più egoista e spietata possibile.
Non è raro che entrambe le serie pongano il giocatore nella condizione di mettere in dubbio i propri valori personali, specialmente a seguito di momenti chiave della trama.

La percezione di ognuno rende i titoli delle due serie estremamente versatili e pronti a essere sempre spunto di discussioni costruttive e interessanti, distintive dell’emotività del singolo e mai collettive. Questa è forse la forza più grande a cui Yoko Taro può appellarsi scrivendo le complicate e vastissime vicende dei capitoli delle sue storie. Non sempre la figura del “buono” corrisponde al personaggio di cui abbiamo il controllo per la maggior parte del tempo, e forse è anche giusto così. Ciò che traspare più di tutto da queste storie è l’imperfezione e l’umanità di ogni personaggio, che rende tutte le personalità incoerenti proprio perché sono umane ed egoiste. Yoko Taro riesce nelle sue trame a rappresentare uno spaccato cinico e quasi pessimista della società. Tra robot privi di sentimenti desiderosi di diventare umani, cavalieri dannati dai loro patti di sangue, draghi privi d’interesse per l’esistenza e donne e uomini in preda alla pazzia, il mondo dipinto è quasi distopico, ma mantiene un equilibrio delicato, rinforzato dalle vicende raccontate e sviluppate. Nessuna di queste storie inizia con una situazione di calma, come spesso è tipico fare, ma anzi: l’inizio del gioco ci fionda quasi sempre nel culmine di un “terzo atto” di una storia che in realtà non fa altro che salire di ritmo fino a un’ulteriore serie di culmini narrativi sempre più fuori di testa, concludendosi poi nella calma più pura.

La forza di NieR e Drakengard sta proprio in questo: dopo tutto il caos torna la calma, che non ricalca il più classico “vissero tutti felici e contenti”, ma anzi, lascia sempre lo spazio per qualcos’altro, come un enorme punto interrogativo dopo la parola “Fine”. Vogliamo lasciarvi in queste condizioni, proprio come fanno le storie di cui abbiamo parlato oggi, perché la realtà dei fatti è che per comprendere al meglio la complessità delle vicende e dei personaggi bisogna vivere il tutto sulla propria pelle, senza avere necessariamente paura di non essere pronti o di addentrarsi in qualcosa di inconcepibile. La maniera migliore per giocare sia NieR che Drakengard è di affrontarli di petto, senza paura, ben consci di ciò che serve per concluderli per come sono stati concepiti e forti di poterne uscire arricchiti. D’altronde, si sa, il modo migliore per realizzare qualcosa di giusto è imparare cosa succede se si realizza qualcosa di sbagliato, e fortunatamente queste due serie offrono ampie possibilità di farlo.