Diamo un rapido e affettuoso sguardo alla storia del Bandicoot più amato di sempre.
La storia di Crash Bandicoot è lunga e burrascosa. Tante generazioni sono passate, e tantissime le reiterazioni del brand. Ad oggi resta una delle serie platform più apprezzate della storia, ma come mai ha raccolto questa fama?
Gran parte della ragione per cui Crash è oggi quel che è va attribuito ad una piccola compagnia di Santa Monica nata nel 1984 di nome Naughty Dog. I due sviluppatori, che all’epoca diedero il nome JAM Software alla compagnia, lavorarono su diversi giochi per computer e console in quegli anni d’altissime prestazioni, come il 3DO, Sega Mega Drive e Apple II. Il punto di svolta, però, arrivò negli anni ‘90: dopo titoli come Ski Crazed e Keef the Thief, Universal Interactive Studios (poi diventati Vivendi Games e infine fusi con Activision nel 2008) assunse i due programmatori per sviluppare un titolo per quella che poi avremmo conosciuto come l’originale Playstation. Sarebbe dovuto appartenere al genere Platform, stavolta in 3D (un po’ come la stava già pensando Nintendo con il suo Mario 64), e avrebbe dovuto dimostrare le potenzialità della console sfruttando al massimo le capacità hardware e lo spazio d’archiviazione dei CD-Rom.

Dopo diversi concept perfino al limite del plagio (come il famoso Willy the Wombat, nome embrionale di un personaggio che condivideva le stesse caratteristiche di un personaggio di Tazmania), gli sviluppatori e l’artista Charles Zembillas decisero di optare per un Bandicoot, marsupiale australiano che ricorda un topo.
La serie adottò un level design semplice ma estremamente ritmato, quasi come se fosse un gioco musicale, dettato dagli ostacoli frapposti tra l’inizio e la fine del livello, da superare con salti e trottole. Questa filosofia rimase intatta per tutta la trilogia platform, ampliando però caratteristiche e strutture a ogni nuovo titolo.
Il primo Crash Bandicoot fu sviluppato tra il 1994 e il 1996, e vide la luce diversi mesi dopo Mario 64, che era uscito all’inizio dello stesso anno. Il “Sonic’s Ass game” fu finalmente rilasciato al mondo, e da quel momento iniziò la fortunata e leggendaria quadrilogia curata da Jason Rubin e Andy Gavin che i fan più vicini chiamano colloquialmente “Epoca Naughty Dog”.
Dopo l’uscita del primo gioco, il team di sviluppo si ingrandì in maniera esponenziale: Crash Bandicoot 2: Il ritorno di Cortex rimescolò le carte cambiando veste grafica, ma mantenendo al contempo dettagli distintivi del primo titolo. Una delle tecniche più usate graficamente fu la deformazione dei poligoni privi di textures per simulare i movimenti quasi da cartone animato dei personaggi. Questo tipo di approccio permise agli sviluppatori di aggirare la potenza grafica limitata della console per mantenere un frame rate stabile (e ancora oggi strabiliante) e una grafica semplice, ma dettagliata abbastanza da risultare leggibile e chiara.

Questo cambio grafico ricevette solo migliorie nel titolo successivo, Crash Bandicoot 3: Warped, ampliando il genere introducendo i veicoli. Nonostante il patto con Universal fosse di rilasciare solo tre giochi, Naughty Dog lavorò in qualsiasi momento possibile per farne uscire un quarto durante lo sviluppo del secondo e terzo, come conclusione della storia senza possibilità di ritorno. Andy e Jason decisero, insomma, che se avessero dovuto lasciare una serie così amata e fortunata come questa, avrebbero dovuto almeno concluderla nella maniera migliore e più pazza possibile. Alla fine, infatti, andò un po’ così: Crash 2 e 3 mantennero i loro filoni narrativi e di gameplay su un certo grado di surrealismo che giocava spesso col tempo e con luoghi a dir poco fuori dagli schemi, e CTR, il quarto titolo lavorato in segreto, non fu da meno, tinteggiando la storia di colori astrusi e fuori dagli schemi grazie all’alieno Nitrous Oxide, nuovo personaggio che avrebbe reso la Terra un enorme parcheggio spaziale se nessuno fosse riuscito a batterlo in alcune gare da affrontare sui Kart.
La serie stava crescendo benissimo, e uscì perfino un titolo su console LCD Tiger, chiamato Crash 99x, ma… dopo Crash Team Racing, uscito poco meno di tre anni dopo il primo, Naughty Dog fu privata dei diritti del marsupiale, appartenenti da sempre a Universal.

A sostituire la ormai imponente compagnia fu Eurocom Entertaining Software, che insieme a Sony Computer Entertainment pubblicò un party game, chiamato Crash Bash, che manteneva sommariamente la stessa struttura a stanze del teletrasporto con cinque livelli ciascuno, per un totale di venticinque più altri segreti dei primi tre titoli. I livelli, però, erano costruiti come competizioni a quattro giocatori di tanti tipi diversi: dal più semplice tutti contro tutti al più interessante e complesso sumo con gli orsetti polari. Nulla per cui urlare al miracolo, comunque: la serie non aveva espressamente bisogno di un gioco del genere, e l’unica cosa che Bash aveva in comune con i suoi predecessori era la veste grafica. Siamo lontani dalla storia originale, ma per un bambino, target principale della serie, è un titolo più che discreto.
Dal lancio della Playstation 2 in poi iniziarono i veri e propri rimpalli tra compagnie: Eurocom lavorò solamente al nuovo e più allettante Crash Bandicoot: L’Ira di Cortex per nuove consoles insieme a Traveller’s Tales, promettente team inglese dalle grandi capacità che fino ad allora aveva lavorato a giochi su licenza. Nonostante l’interessante progetto, che vedeva Crash esplorare vasti mondi senza limiti (da cui, poi, il nome in codice Crash Bandicoot Worlds, lo stesso usato per l’imminente It’s about Time), si preferì una formula più vicina a Warped, che condannò il titolo a un tempo di sviluppo estremamente ristretto, un level design concettualmente ispirato ma poco divertente, boss nettamente inferiori alla trilogia originale e grafica avveniristica, si, ma allo stesso tempo soggetta al passare del tempo, soprattutto nelle versioni Xbox e Gamecube, che hanno ricevuto molta meno cura rispetto a quella d’origine su Playstation 2.

Si può evincere, insomma, che Crash sia diventato un titolo multipiattaforma, oltre che aver cambiato sviluppatori, e ciò non ha propriamente beneficiato alla serie, nonostante le differenze tra le versioni siano ancora oggi molto interessanti da studiare.
Dal 2003 in poi la palla passò a Vicarious Visions (compagnia che oggi si occupa della serie), che lavorò a molteplici giochi del marsupiale, tra cui Crash Nitro Kart, successore interessante ma dall’esecuzione mediocre del migliore Crash Team Racing, e una breve ma piuttosto importante parentesi su Gameboy Advance di titoli platform ad oggi ancora molto divertenti, oltre che un party game in crossover con Spyro e una versione di Nitro Kart per console portatile e, addirittura, per Nokia N-Gage.
La breve, ma intensa parentesi di Nitro Kart non fermò Crash, che poco più di un anno dopo, nel 2004, si reinventò con Crash Twinsanity, sviluppato da un team figlio di Traveller’s Tales (chiamato Traveller’s Tales Oxford) dalla vita breve. Twinsanity seguì un destino simile a quello dell’Ira di Cortex: idee completamente diverse che concettualmente avrebbero portato il titolo ad essere estremamente più grande e interessante furono tagliate per il poco tempo a disposizione, e anche per la somiglianza concettuale a Ratchet e Clank, uscito durante lo sviluppo di Twinsanity. Il risultato fu un gioco incompleto, ma pieno di carattere e creatività, che riscosse tantissimo successo nonostante i numerosi difetti tecnici.

È ancora oggi così amato che in tantissimi vorrebbero vederlo sotto forma di remake con tutti i contenuti omessi reinseriti e con la trama davvero completa. Lo humor e lo stile di Twinsanity sono rimasti nella storia del brand, così tanto che anche il suo successore, Crash Tag Team Racing, sviluppato da Radical Entertainment, ha mantenuto la stessa struttura di gameplay platform collectathon free roaming nonostante fosse un gioco di guida come CTR e Nitro Kart.
E qui in tanti preferiscono fermarsi. Dal 2007, a distanza di due anni dall’uscita di CTTR, Crash ha vissuto una lunga epoca di oscurità, che è iniziata con l’interessante ma strano Crash of the Titans. Il gioco preferì un approccio più da Beat’em up esplorativo che da Platform 3D, e questo segnò la fine del brand per molti. La realtà dei fatti è che, purtroppo, un ulteriore reboot a distanza di soli tre anni dal precedente non era proprio necessario, e piuttosto che lavorare sull’enorme potenziale di Twinsanity e Tag Team Racing, si optò per una strada fin troppo canonica, che dopo il seguito sempre a tema Titani, chiamato Mind Over Mutant, fece cadere Crash nel dimenticatoio fino al 2016, nonostante i numerosissimi tentativi di recuperare la serie seguendo altri stili e recuperando i fasti di un tempo.

Crash Landed fu uno dei progetti cancellati più interessanti, che ritrovava un approccio concettuale più analogo al primo Sonic, (Crash doveva liberare delle creature dalle grinfie di Cortex), ma a parte qualche screenshot e un prototipo su Nintendo DS non si sa ad oggi nient’altro.
Skylanders: Imaginators segnò il ritorno su console moderne del marsupiale arancione, e solo un anno dopo Vicarious Visions tornò a mostrare la propria maestria nel genere insieme a Toys for Bob pubblicando la prima delle tante collection di remakes che Activision può contare come successi.
La Crash N. Sane Trilogy ha segnato, finalmente, la rinascita di Crash Bandicoot, a distanza di ben 11 anni dalla sua scomparsa dalle scene. Due anni dopo, nel 2019, Crash si è riaffermato con CTR Nitro-Fueled, ad oggi uno dei migliori racer in circolazione, che rappresenta l’epitome perfetta del mondo di Crash per tutti gli invaghiti del brand. Piena di amore e voglia di far vedere di che pasta è fatta, Activision ha deciso di battere ulteriormente cassa e permettere a Beenox di lavorare, subito dopo Nitro-Fueled e insieme a Toys for Bob, sul prossimo all’uscita It’s About Time, che arriverà nelle nostre case tra appena tre giorni (il 2 ottobre). Ci sarà tanto da dire e da vedere e, possiamo finalmente dirlo, è arrivata l’ora che Crash torni a brillare ancora più forte di un tempo, non come una fugace stella cadente, ma come un sole forte e longevo.
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