Una delle pratiche più controverse riguardo la localizzazione di anime è stata certamente la rimozione dei riferimenti culturali orientali. Temendo che i bambini si confondessero, vennero tutti sostituiti, spesso omettendo l’ambientazione giapponese e rinominando i personaggi. Si arriva anche ad assurdità tipo le onigiri chiamate “ciambelle alla marmellata” (eh, 4Kids?). Dagli anni 2000 questa pratica è andata a ridursi fino a scemare, tanto che anche gli studi occidentali hanno iniziato a prendere ispirazione dall’Oriente, percependolo come esotico. Avatar – La leggenda di Aang è una delle serie animate figlie di questa corrente più di successo. In occasione dell’annuncio recente della serie Netflix dedicata, riscopriamo questo cult dell’animazione.
La genesi
Creata nel 2005 da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko e trasmessa su Nickelodeon, la serie si ambienta in un mondo fantasy di stampo orientale, in cui alcuni individui, i dominatori, sono in grado di controllare uno di quattro elementi. Ciò è così marcato da essere alla base della suddivisione geopolitica: Nazione del Fuoco, Nomadi dell’Aria, Tribù dell’Acqua e Regno della Terra. L’unico in grado di usarli tutti e quattro è l’Avatar, un essere divino che si reincarna ciclicamente in un diverso dominatore per riportare l’equilibrio nel mondo.

La storia inizia con due ragazzi della Tribù dell’Acqua del Sud, Sokka e Katara, quest’ultima una dominatrice, che ritrovano ibernato nei ghiacci Aang, l’ultimo dominatore dell’Aria e attuale reincarnazione dell’Avatar. I Nomadi dell’Aria sono infatti stati sterminati dalla Nazione del Fuoco, che ha dato inizio ad una guerra espansionistica, per evitare che l’Avatar la ostacolasse. Aang dovrà quindi intraprendere un viaggio per apprendere gli altri domini e fermare la guerra. Nel frattempo Zuko, principe del Fuoco in esilio, si mette sulle tracce dell’Avatar con l’intento di catturarlo, così da ripristinare il suo onore.

Se la premessa sembra molto classica, la realizzazione di Avatar – La leggenda di Aang è molto curata. Non solo le tecniche di dominio sono ispirate a diversi stili di arti marziali, ma molti elementi fantasy sono basati sulle culture asiatiche. Ma la caratteristica che davvero lo avvicina agli anime è la narrativa. All’inizio sembra una serie piuttosto leggera, ma già verso la fine della prima stagione si assumono toni decisamente più cupi. Anche i personaggi sono molto ben gestiti, in particolare Zuko: inizialmente appare come il più monodimensionale degli antagonisti ma, proseguendo, la sua storyline diventa sempre più complessa e interessante, tanto che molti fan, me incluso, lo reputano un protagonista spirituale.
Elementi nella modernità
Visto il successo della prima serie, non poteva certamente mancare un seguito: La leggenda di Korra, uscito nel 2012. Ambientato molti anni dopo la storia di Avatar – La leggenda di Aang, vede protagonista Korra, l’Avatar successivo a Aang, dominatrice dell’Acqua ma fin da piccola in grado di dominare anche il Fuoco e la Terra. Spostatasi a Città della Repubblica, si ritroverà coinvolta nello scontro con i Paritari, fazione ostile ai dominatori perché li considerano favoriti socialmente, capitanati dal misterioso e spaventoso Amon.

La leggenda di Korra si regge in piedi molto dignitosamente, soprattutto perché non si tratta di un more of the same, ma riesce a espandere accuratamente il mondo già costruito. L’aura più moderna che si può percepire a Città della Repubblica dà un senso di freschezza e porta a risvolti davvero inaspettati.
Il successo raggiunto dal franchise ha portato a vari prodotti derivati, tra fumetti, videogiochi e… film live-action.
La maledizione del film
Uscito nel 2010 e diretto da M. Night Shyamalan, L’ultimo dominatore dell’aria è appunto un film sulla prima stagione di Avatar – La leggenda di Aang. A mani basse questo è uno dei peggiori adattamenti live-action tratti da un cartone, peggiore persino dei tanti visti su anime.
Semplicemente, questo film è visivamente imbarazzante (ed è uscito un anno dopo Avatar di James Cameron), ha una storia talmente condensata da essere incomprensibile e numerosi punti di trama sono diventati ridicoli. Per esempio, ricordate lo scontro finale nella prima stagione? Era epico, con Aang che creava attorno a lui una sorta di kaiju d’acqua, mentre nel film si limita ad una gigantesca onda. E quest’onda non deve farvi scordare che in una scena precedente sono serviti sei dominatori della terra per muovere un sasso.

I personaggi ovviamente non sono stati risparmiati. Aang, Zuko e suo zio Iroh hanno perso molta caratterizzazione, tanto da essere ridotti a macchiette. Sokka e Katara peggio: si possono rimuovere dalla storia senza troppi problemi. Insomma, un film così brutto da poter generare un’idea sbagliata sulla serie di riferimento.
Pensate che doveva essere il primo di una trilogia, ma vista la fredda accoglienza non fu mai realizzata. Meglio così.
L’eredità dell’Avatar
Avatar – La leggenda di Aang è forse uno dei prodotti animati occidentali più particolari, che riesce minuziosamente a creare un mondo orientale credibile e coerente, com molti omaggi come ha fatto il fumetto francese in stile manga, Radiant. Un’ottima serie che consiglio specialmente agli amanti di anime che ignorano l’animazione occidentale. La serie tv live-action di Netflix ha sollevato sia entusiasmo che dubbi, specialmente per il sopracitato film. Confidiamo che sia un prodotto più curato, sia per la supervisione degli autori originali che per il fatto che fare peggio di quella pellicola è una sfida troppo difficile per essere accettata (vero?).
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