Storia di un successo commerciale annunciato e meritato… ma fino a un certo punto
Che piaccia o meno, quella di Squid Game è una storia che ha segnato un successo dal punto di vista mediatico incredibile, ben al di sopra delle aspettative del suo autore Hwang Dong-Hyuk. La serie sudcoreana è uscita su Netlfix nella seconda metà di settembre e in poche settimane è finita in testa in tutte le classifiche della piattaforma di riferimento, tra innumerevoli consensi che ne hanno consacrato il brand come uno dei più apprezzati dall’intera piattaforma streaming. Ma quello di Squid Game è un successo meritato? Dopo averla letteralmente divorata in poco tempo una risposta positiva sarebbe scontata, ma in realtà ci sono alcune riserve che vanno adeguatamente segnalate.

Una piccola premessa doverosa: negli ultimi anni il catalogo Netlifx ha visto l’arrivo di un numero spropositato di produzioni di stampo coreano, tra serie tv e film delle più disparate tipologie che registrano riconoscimenti e apprezzamenti sempre maggiori da parte dell’utenza; Squid Game rappresenta la consacrazione di una tipologia di intrattenimento su schermo che già nei mesi passati iniziava a prendere piede. Parliamo di uno stile destinato a diventare una costante negli anni o una semplice e travolgente moda passeggera? Al momento è difficile dirlo, essendo nel pieno della fase della gestione e smaltimento di un frenetico hype sul web riguardo la serie in oggetto, ma mentirei nel dire che non sia riuscito a trovare un sacco di elementi positivi da farmela apprezzare a più riprese.

La storia di Squid Game segue le vicende di Seong Gi-hun, uomo che vive nella moderna Corea del Sud una vita di stenti e fatiche perché sommerso dai debiti; un disagio che colpisce tantissimi suoi connazionali, ampliando la forbice tra la fetta di popolazione benestante e tutti gli altri obbligati a vivere giorno per giorno, favorendo l’inasprirsi delle attività criminali. Il protagonista, assieme ad altre 455 persone nella medesima e difficile condizione finanziaria e sociale, prende parte a una serie di giochi in successione organizzati in gran segreto su una misteriosa isola per vincere l’incredibile somma finale di 45.600.000.000 won (circa 33.000.000 euro). I giochi richiamano quelli della tradizione e cultura sudcoreana, brutalmente rivisitati per eliminare letteralmente ogni persona che non riesce a superare la prova. Parliamo al momento di una sola stagione, composta da nove puntate che permettono di approfondire il rapporto tra diversi personaggi che emergono assieme al protagonista (grazie a personalità ben distinte), così come di scoprire alcuni interessanti retroscena sull’organizzazione che nell’ombra gestisce da anni questi giochi.

Ovviamente il fulcro della serie è capire man mano quali saranno i vari giochi ai quali i “concorrenti” dovranno prendere parte e cosa si inventeranno per superarli, mostrando in modo abbastanza realistico reazioni di persone nella maggior parte dei casi spinti dalla più semplice disperazione e alle prese con qualcosa più grande di loro. Parliamo di una serie originale? In realtà non molto, e i più attenti vedranno molteplici riferimenti e spunti presi a destra e sinistra da opere come Battle Royale, Hunger Games, As the Gods Will e un contesto esteticamente che richiama un mortale Takeshi’s Castle per colori e mood generale. Bisogna anche superare due prime puntate molto più lente delle altre, obbligatorie per inserire un contesto di fondo e dei background che vanno oltre il semplice partecipare a dei “semplici” giochi mortali. Andando avanti con le puntate, infatti, molti tasselli si incastonano perfettamente nella visione dell’autore per far convergere i pensieri dello spettatore e sarà impossibile non affezionarsi a qualche personaggio tra i principali presenti.

Quali sono allora i principali meriti di Squid Game? In primis l’interpretazione dei vari attori principali che richiama uno stile espressivo e di immedesimazione tipicamente orientale e caratteristico che può piacere come non piacere, ma che si consolida nella mente dello spettatore; vista anche l’assenza dle doppiaggio in italiano, consigliamo assolutamente di mantenere il doppiaggio originale con i sottotitoli. Tutto ciò viene seguito da una regia attenta e meticolosa: da un lato la lotta e le relazioni che si intersecano tra i vari personaggi per cercare di sopravvivere e cambiare la loro vita al limite della sopportazione, dall’altro la scelta di mostrare al pubblico, in parallelo, schemi e routine dell’organizzazione dietro ogni avvenimento, dando spazio alla figura del Frontman che gestisce tutto con precisione e a un ispettore sotto copertura che permetterà di portare alla luce interessanti retroscena.

Non vogliamo certo raccontarvi il finale, ma tra chi lo ama e chi lo odia, farà sicuramente discutere e parlare nel tempo. Lasciando porte aperte per future stagioni che potrebbero espandere le vicende, con un potenziale che da un lato incuriosisce e dall’altro può spaventare. Non mancano i colpi di scena, soprattutto nella seconda metà dell’opera e i svariati simboli rimangono impressi nella mente dello spettatore per farne continui riferimenti; un po’ come visto in passato con le maschere di Dalì utilizzate con La Casa di Carta, abbiamo in questo caso un quantitativo spropositato di elementi da riutilizzare per riconoscere l’opera, da costumi e maschere di guardie e concorrenti, fino ai simboli specifici di alcuni giochi, abbiamo già numerosi elementi che prenderanno piede a fiere ed eventi (come nel recente Lucca Comics) proprio per confermare il successo commerciale dell’opera. Se dovessi descrivere Squid Game in poche parole sarebbe quello di “una Casa di Carta più d’autore”, con maggiori sfaccettature dei personaggi che riescono a colmare meglio alcune lacune di fondo. In effetti rispetto al precedente successo della serie spagnola mi sento molto più giustificato nell’apprezzare Squid Game.
