Come (non) rendere giustizia ad un manga apprezzato
The Promised Neverland di Kaiu Shirai e Posuka Demizu è certamente uno dei manga più apprezzati degli ultimi anni: una storia intrigante e profonda, con interessanti significati metaforici, condita con un’atmosfera di tensione continua, che va a creare un thriller psicologico di tutto rispetto. Sebbene il finale subisca una flessione qualitativa, l’entusiasmo dei fan all’annuncio della seconda stagione, dopo una prima piuttosto ispirata, non poteva che essere alle stelle. Purtroppo l’andamento della serie ha sollevato un enorme polverone, generando tra gli appassionati delusione e indignazione, ed ora analizzeremo il perché. Prima di iniziare, ci tengo ad avvertirvi della presenza di spoiler.

L’inizio non era poi così male, e suscitava buone speranze: un primo episodio, forse un po’ troppo frettoloso, ma che funzionava bene come introduzione. I bambini, in fuga dall’orfanotrofio di Grace Field, si ritrovano in una fitta foresta inseguiti da un mostro demoniaco. Tuttavia, con l’incontro con i demoni pagani Mujika e Sonju nel secondo episodio, le atmosfere cupe e cariche di tensione tipiche di The Promised Neverland cominciarono ad riemergere. Purtroppo andando avanti nella storia queste stesse atmosfere vincenti sono andate pian piano a scemare per un singolo motivo. A tutti era sorto un dubbio legittimo quando è stata annunciata questa seconda stagione: se la prima, di dodici episodi, adattava cinque volumi del manga, come sarebbe stato possibile traslare in undici episodi i restanti quindici volumi? La risposta è molto semplice: taglio e riscrittura della storia originale. Sia chiaro, la seconda parte animata era stata annunciata con porzioni originali, ed anche la prima, per quanto fedele, aveva dei punti un po’ divergenti rispetto al manga, ma la differenza di adattamento tra le due è abissale. Prima di analizzare il tutto nel dettaglio ci terrei a porre un quesito: è davvero un male che manga ed anime divergano così tanto? Più tardi ci torneremo.

In pratica, se nella prima stagione si seguiva pari pari la storia originale, qui interi archi narrativi sono stati completamente rimossi, uno fra tutti l’apprezzato Goldy Pond, e molte scene aggiunte sono del tutto superflue al proseguimento della storia. Inoltre, delle volte sembra essere stato alterato anche l’ordine cronologico degli eventi rispetto al manga. Tutto ciò si traduce inevitabilmente in una trama troppo condensata, difficilmente comprensibile e quasi completamente priva di mordente. Psicologia, calcoli, pathos, è tutto scomparso inesorabilmente. Anche alcuni importanti colpi di scena non hanno alcun effetto emotivo, ed un esempio è la sopravvivenza di Norman, che in questa seconda stagione sembra servire solo a dire che non tutti i bambini allevati sono destinati a diventare carne da macello. Ad inasprire la situazione ci pensano anche degli elementi non troppo chiari, alcuni provenienti della prima stagione, o proprio fine a se stessi. Un esempio lo si ritrova nel personaggio di “Lui” (il demone che permette le Promesse con gli umani) o la parola “help” scritta nel rifugio. Delle volte sembrano più delle citazioni alla controparte cartacea mirate ad invogliare lo spettatore a leggerla, dato che il punto interrogativo che pongono rimarrà tale fino alla fine della serie.

Se la storia fa veramente fatica a reggersi in piedi, i personaggi non sono certo da meno: riguardo il trio di protagonisti, Emma, Ray e Norman, per quanto mantengano carisma e carattere, compiono il 90% delle volte scelte insensate e poco coerenti con loro stessi. Gli altri personaggi sono quasi del tutto inutili, privi di un ruolo rilevante, con piccole eccezioni ma non del tutto sufficiente per farli spiccare. Gli unici personaggi introdotti bene sono Mujika e Sonju, che però risentono parecchio dei tagli alla storia. Purtroppo anche gli antagonisti non hanno fatto una gran bella fine, anzi l’antagonista: Peter Ratri è l’unico cattivo pervenuto. Peccato che abbia un suo spazio narrativo talmente ridotto da renderlo un personaggio non solo incomprensibile, ma anche di poco spessore.

In tutto questo, con un comparto narrativo deludente che lascia più punti interrogativi che altro, speriamo che almeno quello tecnico sia soddisfacente. E invece no! Non solo per i demoni selvaggi si adopera una CGI 3D di scarsa qualità, ma anche per quanto riguarda la tecnica tradizionale CloverWorks sembra essere andata a risparmio. Delle volte le animazioni non solo sono poco curate, ma appaiono anche scattose. Si salva invece il comparto sonoro, per quanto inferiore alla prima stagione.

In conclusione, riprendiamo la domanda: è davvero un male che manga ed anime divergano così tanto? In realtà no, sebbene questo tipo di produzione non sia sempre ben visto dagli appassionati, in quanto non permette più all’anime di poter offrire un’alternativa alla lettura del manga. Ci sono stati casi, come per i manga Fullmetal Alchemist di Hiromu Arakawa o Shaman King di Hiroyuki Takei, dove, nonostante le ovvie divergenze narrative, la serie riusciva comunque a reggersi in piedi da sola. Lo stesso discorso non si può applicare per questa seconda stagione di The Promised Neverland, in quanto la riscrittura della trama è solo la punta dell’iceberg: la storia che ci propone risulta lacunosa, fin troppo condensata, priva di mordente e che continua ad aggiungere incognite invece di risolverle. E’ veramente un prodotto mal confezionato, che non soddisferà non solo i fan, ma neanche chi, non apprezzando la lettura dei manga, attendeva la trasposizione anime per avvicinarsi alla serie. Non ci resta che sperare in un futuro adattamento più fedele, un po’ com’è già successo con gli altri due manga precedentemente citati.
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