Batman Arkham Asylum: ll fumetto-Recensione

Viaggio nella follia… più o meno

“Batman Arkham Asylum: Una folle dimora in un folle mondo”, è una graphic novel (che è un modo chic per dire una storia lunga contenuta e pubblicata in un solo volume) del 1989, scritta da Grant Morrison e disegnata da Dave McKean.
La storia alla base dell’albo è molto semplice: i pazienti del manicomio criminale di Arkham sono in rivolta, hanno preso il controllo della struttura e vogliono che Batman si incontri con loro, visto che comunque la rivolta è guidata dal Joker. O almeno così sembra. Che misteri si nascondono in questo manicomio? E possiamo forse pensare di scoprire anche le origini di questo edificio, ormai vero e proprio classico delle storie del cavaliere oscuro?
In un colpo di coda di scrittura però, ovviamente la trama non è il centro di questa storia, ma, nel corso del lungo viaggio attraverso il manicomio e nel suo passato, diventa chiaro come questo romanzo grafico non abbia come centro focale l’azione o l’avventura, bensì un’analisi di chi sia il cavaliere oscuro, e di come si possa muovere all’interno di un mondo così fuori di zucca.

È facile notare anche da una sola vignetta quanto Dave McKean sia un disegnatore molto atipico. Con un background da graphic designer, pittore e fotografo, le pagine di McKean sono inconfondibili. Un tratto, anzi, una composizione estremamente onirica, quasi nevrotica, che mischia il colore, senza badare al contorno della figura, quasi a voler riempire più spazio possibile, virando da una concezione più realistica del disegno, fino a creare quasi del vero e proprio surrealismo sulla pagina.  E poi la contrapposizione: il nero, l’assenza di colore, la tinta principe dei fumetti di Batman, che si staglia sulla pagina come un’ombra oscura, che divora tutto l’assurdo, ed ancora la pagina al mondo del reale.
McKean è bravo? No. Di più. Ma, ammetto anche che il suo tratto sia molto polarizzante. In alcuni casi è anche difficile capire cosa stia succedendo sulla pagina, e questo ha effetti nocivi anche sul percorso del lettering, che rende in alcuni casi poco comprensibili i dialoghi. Inoltre, McKean è molto, molto statico. Si tratta di un problema? Beh, in una storia d’azione lo sarebbe sicuramente, in questa avventura più introspettiva… meno. In alcuni casi la regia della tavola è magistralmente orchestrata, e le vignette si susseguono leggiadre come il volo di una farfalla, in altri casi invece, lo stacco è così pesante da lasciare disorientati.
E ora, mi rendo conto che questa sia una storia sulla follia, e che forse l’effetto fosse voluto. Ma anche se stessi provando una montagna russa che mi promette di farmi cenire il mal di pancia dal divertimento, pur sapendo il fine ultimo della cosa, non sarei entusiasta se venissi accolto con un pugno nello stomaco.
McKean è un grande, grandissimo illustratore, ma, nel parere di chi scrive, se le sue copertine sono fra le migliori mai viste, il suo lavoro come artista di interni mal si sposa a certi generi, e questo, purtroppo, è uno di quei casi. Ci troviamo di fronte al voler usare il martello di Thor per avvitare un bullone. Abbiamo l’attrezzo quasi perfetto, ma per il lavoro sbagliato.
A livello di trama, invece, le cose si fanno parecchio più complesse. Non perchè Morrison non sia uno scrittore che ci ha regalato alcune delle più belle storie di supertizi (e una bellissima di Rogue Trooper) degli ultimi anni. Ma perchè, più di ogni altra singola storia sul pipistrello, questa si basa su un concetto che, personalmente, ho sempre trovato ambivalente: il capire un personaggio.
Ora, sul fatto che spesso e volentieri una critica a qualsiasi lavoro di fiction continuativa sia “NON CAPISCI IL PERSONAGGIO”, e di come questo a lungo andare distrugga la sanità di chiunque, siamo d’accordo. Ma, nel bene o nel male, il concetto di base che un personaggio, per essere ben strutturato, debba avere delle regole nel suo comportamento, è vero.
Per anni, non ho mai creduto alla storia di molti autori che dicevano che i loro personaggi gli “parlavano”, ma, è vero che io non ho neanche mai avuto una buona idea per una storia. O meglio, buona per il mondo, e non per me.

Morrison gioca molto sull’aspetto della malattia mentale, della follia, e lascia tante di quelle citazioni alla psicologia Jungiana da fare venire il maldistesta a tutti i Freudiani che hanno mai letto questo fumetto.  E tutto diventa un gioco, diventa semplicemente un esercizio stilistico che peraltro in alcuni casi fallisce e cade al suolo.
A proposito dell’albo, viene detto infatti che l’idea era quella di portare Batman nel mondo dell’assurdo, dell’irrazionale, lontano dalla verità cupa che i fumetti avevano all’epoca, eppure sì, il fumetto ha dei toni assurdi, anche nella descrizione delle varie malattie mentali dei personaggi incontrati da Batman nel manicomio, ma tutto poi verte su una vena comunque pessimistico-postmoderna che ha molti punti in comune con la moda dell’epoca.
Arkham Asylum dovrebbe essere un viaggio nella psiche umana, un’iniezione di follia; sembra invece una visita al circo, dove dobbiamo provare pena per una serie di personaggi psicotici, portati all’estremo e caricature di problematiche che, affrontate in modo più maturo, avrebbero potuto dare molto di più.
Ma soprattutto, con un protagonista semitrasparente, senza una reale forza trainante. Una delle cose più complesse, quando si recensiscono opere così piantate in certi tipi di esperienze, è il ricordarsi, che non tutti abbiamo le stesse basi. Quando guardo un incontro di boxe in un film, non posso riconoscere se quel pugno sia tirato con grazia o meno, mentre il mio amico Ramon che è stato pugile può, e la cosa cambia completamente la percezione di quello che ci troviamo davanti.
Prima di essere blogger, sono pedagogista. Nella mia vita ho avuto spesso e volentieri a che fare con la psicologia, e con la malattia mentale, e più che rimanere sorpreso, o colpito dalle rappresentazioni in questo fumetto, mi sono trovato spaesato.
Perchè Arkham Asylum è una scusa. Una scusa come tante altre, per tirare fuori un po’ di satira, una patina di realismo applicata ad un mondo di fantasia, per provare a dire qualcosa di intelligente.
Ovverosia, che nel mondo non c’è solo un modo di vedere le cose.
Beh, grazie mille, ma la domanda rimane: perchè usare Batman?
La risposta, è molto semplice, perchè Batman vende. Perchè tutti conosciamo i suoi nemici, perchè in quello stesso anno era uscito il film di Tim Burton, perchè, se vogliamo parlare di psicolgia, siamo immancabilmente attratti da quello che già conosciamo, ed invece abbiamo un po’ timore ad esplorare l’ignoto.

Arkham Asylum, è un fumetto che si può descrivere con una sola parola: pretenzioso.
Un fumetto che utilizza un artista di primo piano ma male assortito per il medium, ed uno scrittore famoso per scrivere cose complesse, per provare a parlare di argomenti che si sposerebbero perfettamente con il medium scelto, ma con una superficialità disarmante.
Akham Asylum, nasconde sotto uno stile grafico inconfondibile, sotto un fiume di parole che spiega cose che nessuno aveva mai chiesto di spiegare, un vuoto cosmico di banalità e retorica da due lire.
E mi rendo conto che, come scritto in precedenza, molte di queste sensazioni vengano dal mio background, e dalla mia forma mentis, ma davvero, nessuno dice, e dirà mai su questo sito, che non si possono fare cose serie con i supereroi. Nessuno. Nessuno dice che sia impossibile esplorare in modo onirico un concetto così fallato logicamente, che anche un toporagno possa riconoscerne la stupidità in alcuni casi. Ma Arkham Asylum fa l’errore di fermarsi alla forma, di fermarsi allo shock iniziale senza poi accelerare mai. Si ferma sulla superficie delle cose, lanciando idee a destra e a manca, accecando il lettore con il suo stile, ma si tratta, nel parere di chi scrive, di un fumetto che ha molto poco (ed in alcuni casi nulla) da dire. E quello che ha da dire, spesso lo dice con la voce di altri, in un mare di citazioni e strizzatine d’occhio. E se devi usare le parole di altri per dire quello che pensi, forse non hai pensato granchè.

Pro
  • – Disegni fenomenali ed eclettici
Contro
  • – La trama è molto retorica
  • – Troppi punti di trama lasciati stare

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