Daredevil:Giallo-Recensione

Il passato del Diavolo Rosso!

Nato nel 1964, Matthew Murdock, alias Daredevil (ma noto in Italia per anni solo come Devil), è uno dei personaggi più tragici della Marvel Comics. Oggi, ci occupiamo di una sua Miniserie di quattro numeri del 2001, scritta da Jeph Loeb e Tim Sale, Devil: Giallo (in originale Daredevil Yellow, nell’articolo avrà il nome di DY) è una storia nella storia. Dopo la morte dell’amata Karen Page, il nostro eroe decide di scriverle una lettera, nel quale esprime tutti i suoi sentimenti per lei, e racconta il suo passato, in una rivistazione “moderna” delle origini del diavolo rosso, in un resoconto aggiornato delle sue imprese.
Prendendo così a piene mani dai primi numeri del diavolo custode scritto dal buon Stan Lee, DY aggiorna ed espande il mito, fatto da un avvocato pugile cieco vestito da wrestler.
Non mancano minacce colorate come vari supercriminali, come altre più realistiche fatte di ricatti e della lotta contro il sistema giudiziario.

Cosa c’è di Buono
DY fa quello che un buon 70% delle storie di Devil non fa: divide perfettamente l’attenzione fra l’uomo e la maschera, dandoci un ritratto convincente di un uomo che è talmente innamorato della legge da volerla difendere a tutti i costi.
Tutti i vari personaggi di contorno sono tratteggiati egregiamente, anche quelli che appaiono solo in una o due vignette, e i disegni di Sale danno personalità persino agli sfondi.
Un Matt Murdock alle prime armi, che dimostra sì una tendenza a fare battutine idiote, ma anche una grossa propensione alla teatralità e alla tragicità che è presente in tutte le storie di eroi. Buca le pagine e si dimostra vero e proprio protagonista della sua storia, non come una bambola gettata in mezzo agli eventi.
Le scene d’azione sono dinamiche e coreografate con una maestria straordinaria, e ogni tavola è un piccolo gioiello di precisione.
Il fatto che la storia intera sia solo in quattro numeri dà all’avventura un perfetto senso di equilibrio, non troppo allungata, ne troppo ristretta.

Cosa c’è di non buono

Questa parte è molto difficile da scrivere. Perchè il “non buono” in DY è pochissimo. Possiamo dire che, in alcuni punti la prosa di Loeb non è il massimo, e alcuni dialoghi risultano un po’ stereotipati, e a tratti persino forzati nella gola dei personaggi. Questo in un paio di casi stona un po’ con la narrazione veloce e ben costruita.

Giudizio Finale

DY è una delle storie di supereroi più solida che io abbia mai letto (e ne ho lette parecchie…). Una trama serrata, che prende dai classici senza voler modernizzare troppo, ma risultando, agli occhi di chi scrive, una delle versioni definitive delle origini del personaggio. Un rimaneggio delicato ma pregnante, con picchi di adrenalina e quei tocchi di “realismo” e “cupezza” che piacciono tanto al grande pubblico.
Un mix perfetto di azione e dramma, il tutto in una storia che parla di amore e di nostalgia, risultando poi una lettera d’amore al personaggio.
Per quando mi riguarda la nostalgia è una piaga dell’umanità. In questo però, Loeb e Sale non giocano sul fattore “E’ il Devil che leggevo da bambino ed è bello per quello”, ma inseriscono con grande abilità la storia all’interno del percorso personale del personaggio, dandoci un ritratto quasi perfetto del perchè questo Uomo Ragno con un mestiere da adulto, valga la pena di essere letto.
Breve, ma pregnante, forte, ma gentile. E’ davvero, davvero difficile non apprezzare questa saga. Se non altro, Sale è in forma smagliante e ogni tavola è un piacere per gli occhi.
Tutta la saga è un enorme, gigantesco, affresco, che cristallizza perfettamente tutti i protagonisti delle storie di Devil, come erano un tempo, e come sono adesso. Stanchi, fragili, con una maschera addosso per nascondere le imperfezioni, ma sempre, sempre proiettati verso il futuro. Perchè quando non hai paura del futuro, puoi permetterti di essere un po’ scavezzacollo.
E, per un motivo personale, non posso esimermi dal citare una scena in particolare. Jack” Batlin Jack” Murdock, pugile mancino e padre di Devil, dovrebbe finire a terra in un match di pugilato truccato. Ma, in quel momento, vicino al ring c’è il figlio di Jack. Un ragazzo per cui il padre è la persona migliore del mondo, anche se, il vecchio pugile pensa di se solo come “Un bifolco ignorante”. Devi stare giù, dicono a Jack. Ma per il vecchio pugile, per il burino, per l’uomo il cui più grande desiderio è la felicità del figlio, diverso da lui sotto tanti aspetti – ma poi più simile di quanto immagini – andare giù, non è più possibile. Per una volta, Batlin Jack vuole rendere suo figlio fiero, pur non sapendo, che il ragazzo lo è sempre stato. Perchè, seppur Jack si creda un fallito, ha una sola regola: Un uomo non si giudica mai da come va al tappeto. Ma da come si rialza. E con un destro micidiale, e con l’urlo dalla folla “STENDILO PAPA’!”, il vecchio pugile vince la sfida. Suonerà fesso, suonerà “da fumetto”, ma questa scena, oggi come allora, mi parla. Mi colpisce nelle mio profondo perchè ha qualcosa da dire. Forse “Un uomo non è tale…” suonerà scemo ai più. Ma è la stessa cosa che mi ha sempre detto il mio di papà. Ed per questo che amo i fumetti. Perchè a volte ti parlano, come se ti conoscessero da sempre.

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