Esperimento, o classico del fumetto?
Nei primi anni 90, Disney pensò di lanciare sul mercato un’etichetta di fumetti per adulti racchiusi sotto l’egida della sua divisione filmica chiamata Touchmark, ma il progetto non andrà in porto. Ciò lasciò così i fumettisti che avevano pensato di portare un proposal in Disney liberi di cercare altri lidi per le loro idee.
E così, nel 1993, Peter Milligan e Duncan Fegredo approderanno alla Dc comics, vendendo il loro progetto Touchmark chiamato Enigma alla linea Vertigo (una sottosezione che la casa editrice riservava ai fumetti “maturi”, che negli anni diventerà leggendaria per la qualità continuativa delle sue proposte), risultando così il secondo fumetto in ordine cronologico ad essere pubblicato dall’etichetta, arrivando poco dopo una miniserie basata sul personaggio di Morte creato da Neil Gaiman.
E così, per 8 uscite, con l’aiuto di Sherilyn Van Valkenburgh ai colori e John Costanza al Lettering, Enigma ci racconta la storia di Micheal Smith, abbandonato dalla madre in tenera età e che vive una vita tutto sommato normale nella fittizia Pacific City.
Qualcosa però cambia quando un mostro chiamato La Testa inizia a compiere stragi per le strade. La particolarità della vicenda deriva dal fatto che “La Testa” è il nome di un supercattivo di un fumetto scritto da un certo Titus Bird, fumetto che peraltro Micheal adorava.

E per non farsi mancare nulla, sulla scena arriva anche Enigma, l’eroe del fumetto di Bird, un misterioso essere semionnipotente, al limite fra l’umano ed il divino, che lancia Micheal e Titus in un vortice di avvenimenti e di misteri, tutti da scoprire.
Molte volte, quando parlo di fumetti non recenti (e ammettiamolo, capita molto spesso, perchè sto diventando un anziano dentro), parlo spesso di quanto serva pensare al contesto dell’opera.
Certo, il primo Bat-man è un pelo legnoso se letto oggi per vari motivi che non sto a spiegare se no scrivo altri due articoli, ma se pensiamo che è uno dei primi fumetti di supereroi gliene perdoniamo tante, tantissime.
Ecco, leggendo Enigma, che è una decostruzione del supereroe scritta negli anni 90, quando tutti provavano a decostruire il supereroe, la sensazione di leggere qualcosa di polveroso, non c’è.
Ve lo dico ora, così se avete poca voglia di leggere me che sproloquio vi potete fermare qui: Enigma, regge oggi come allora. Sembra scritto ieri.

Perchè, certo, ormai fumetti su supereroi ambigui, su uomini medi che vivono in mondi che vengono scritti con una patina di fantasia che nasconde invece un oceano di mediocrità, ne abbiamo visti molti, moltissimi e anzi, alcuni li abbiamo pure innalzati a capolavori del fumetto.
Ecco, Enigma fa un gioco diverso. Ci mostra un mondo sporco e cattivo, perchè alla fine il mondo è anche quello e negarlo sarebbe sicuramente sciocco per usare un eufemismo, ma lo fa con uno stile accattivante ma semplice, nevrotico ma chiarissimo.
Mai titolo fu più appropriato: Enigma. Siamo di fronte ad un fumetto di supereroi per adulti, o siamo di fronte ad un fumetto per adulti che vorrebbero essere dei supereroi?
C’è molta metanarrativa in Enigma, e non solo perchè abbiamo un fumetto, che fra i protagonisti ha un autore di fumetti, ma anche perchè riesce con dei colpi di coda ragguardevoli, a mutare dei concetti molto semplici e colorati, in riflessi distorti o in poesia elevatissima.
Uno degli antagonisti, se così vogliamo chiamarlo, si chiama “La Verità”, ad esempio. E ora, quante, ma quante battute stupide si possono fare, se un personaggio si chiama così? Tante. Troppe.

Milligan le fa tutte. Tutte. Ma le incastra in un contesto molto più amplio, le spezzetta in uno scenario macabro ed allucinante e rende vere e taglienti delle osservazioni più o meno sciocchine.
Qui sta la bellezza della storia di Enigma. Qui sta il centro del fumetto. Si può, decostruire, si può smontare, ma se lo si fa, si deve smontare tutto. E così l’elemento colorato diventa quello più cupo, l’elemento sciocco diventa quello più intelligente, lasciando il lettore spiazzato ed incuriosito da questo mondo che in alcuni momenti è spaventoso e deumanizzante, ed in alcuni momenti è invece leggiadro come una piuma.
Da un punto di vista del disegno, abbiamo di fronte un Fegredo ad inizio carriera, forgiatosi sulle pagine sporche e sconnesse della fantascienza britannica, dura e pura e nata per prendere la gente a pugni in faccia, e poi forse raccontare una storia.
In questo albo, Fegredo riesce praticamente a cambiare stile quasi ad ogni pagina, giocando molto bene sul contrasto fra vignette, rappresentando i volti dei personaggi con diversi gradi di definizione a seconda della scena, dando vita a tavole tanto surreali quanto d’impatto.
I personaggi di questa storia riescono a recitare muovendosi fra tutti i gradi del movimento umano, oscillando come pendoli fra l’enfasi e la stasi. Quando qualcuno vola in Enigma, non vola, fluttua come fosse una statua legata ad un palloncino, con un gravitas tutta sua. Quando qualcuno smembra un corpo in Enigma, non smembra con certosina precisione e fedeltà grafica, ma smembra in un modo così primordiale e naif, da essere molto più d’impatto del vero.
In campo Vertigo, questo stile nevrotico, fatto di contraddizioni interne e di scelte stilistiche grandiose od infantili nate da una profonda conoscenza del medium, farà veramente scuola nell’etichetta, e se negli anni abbiamo recensito più di un albo Vertigo che giocava a scimmiottare lo “stile della casa”, Fegredo, lo stile della casa, lo aveva ridefinito. Ed è spesso così con l’arte, qualcuno ha un’idea, e all’inizio è primigena, rozza, magari indelicata, ma ha una forza tale da travalicare il suo stesso senso e contesto, ed arrivare fino a noi, magari migliorata, ma mai troppo allontanata dal suo centro focale.

Se poi, ci mettiamo tutta la gamma di colori usata dalla Van Valkenburgh, questa serie di tinte tenui, quasi pastello, intervallate da forti escursioni della stessa tinta, quasi a voler incorniciare sempre di più il pathos e la bizzarra simmetria ossimorica che fanno di Enigma quello che è, allora, veramente, possiamo dire di avere di fronte un albo davvero potentissimo, con una carica ispiratrice eguagliata da davvero poche opere, nel panorama Vertigo.
Lessi per la prima volta Enigma, nell’anno 2010. Avevo circa vent’anni, e dopo anni passati a leggere supereroi colorati, volevo un po’ tornare ad esplorare il fumetto Vertigo, che mi aveva fatto diventare uomo tre anni prima quando lessi uno degli albi che mi porto sempre nel cuore: Animal Man.
Enigma, fino al numero sei, fu un colpo al cuore dopo un colpo al cuore. Una serie di albi serratissimi, con un mucchio di misteri ed un mucchio di risposte, spesso non correlati l’uno con l’altro, una serie di albi che si muovevano su più piani di narrazione portandomi a rileggere più volte ogni capitolo per capire ogni piccola sfumatura della storia ed iniziare a raccogliere i pezzi uno ad uno, fino ad arrivare ad un discorso fra Micheal ed Enigma, sopra un tetto. Un discorso, che finisce con una splash page finale, che mi porterà a contraddirmi. Perchè una roba così, nel 93, era dinamite. Oggi è lo stesso, ma nel 93… un pelo di più.
Torno serio, una splash page memorabile che ancora oggi porto nel cuore, come porto nel cuore la domanda che mi feci dopo averla letta: “Ci sono ancora due numeri? Cosa devono aggiungere?”.
Ed è così, che negli ultimi due numeri della serie, Enigma fa al contempo una delle mosse, se non LA mossa che più mi rende felice nella narrativa: la mossa che amo definire la mossa dei Re, coloro che si stagliano sopra la massa di codardi che sceglie questa mossa di non farla, e al contempo stesso, la mia più grande delusione a proposito dell’albo, che non inficia del tutto il mio amore per l’opera, ma che comunque me la rende meno splendente.

Me lo sarei dovuto aspettare, mi sarei dovuto aspettare da un fumetto così poco retorico, ma così tanto contraddittorio per scelta, che il finale mi avrebbe diviso, ma fu lo stesso una strana sensazione, molto agrodolce.
Comprendo, molto bene la scelta di queste due mosse di narrativa, e capisco bene il perchè siano state scelte: l’idea era shockare il lettore, e toglierli ogni singola certezza che aveva mai provato.
E lo apprezzo, davvero. Al lettore non va mai dato quello che vuole, ma quello che non sa di volere.
Però, e forse sono io, forse sono le mie esperienza di vita, i miei hobby, le scelte che ho fatto a proposito del mio destino, ma una delle due scelte finali, non la posso sopportare, e mi spiace molto.
Enigma non è un fumetto perfetto, e anzi, evita proprio di esserlo nel suo manifesto d’intenti, che è stampato proprio bene in copertina.
Enigma, è un fumetto molto difficile da definire, da leggere, e da comprendere.
Enigma è un insieme di concetti che sembrano tenuti assieme con lo scotch, ma che ad una seconda lettura sembrano invece un progetto macchiavellico… ma sempre fatto con lo scotch.
E la maestria del team creativo, è stato sempre nascondere tutto in piena vista, non sottovalutare mai il lettore, e giocare con le sue idee e con le sue percezioni, creando alla fine un qualcosa di nuovo, che può funzionare, o meno. Enigma funziona al 95%. Ma i fumetti non si fanno con i numeri, e quindi, chissà se è cosa buona, oppure no. Chi lo sa. Abbiamo davanti un bel mistero. La cui soluzione, è sia nelle pagine di questo fumetto, sia dentro di noi.
- – Una storia matura e ben studiata
- – Uno stile grafico sporco, che ha fatto scuola
- – Uno degli Esperimenti più interessanti di un parco testate leggendario
- – In una storia così pregna e sensibile, il finale è abbastanza fuori luogo
