I Fumetti di supereroi possono cambiare? (Chiedilo al Giova)-Speciale

Evolvere…o morire?

Bentornati sulle nostre pagine cari amici! Oggi, torna Chiedilo al Giova, la rubrica dove potete pormi le vostre domande, uomo fumetto e grande esperto di minuzie e fatti inutili a 360 gradi. Vi ricordiamo che potete fare le vostre domande nei commenti a questo articolo, sulla nostra pagina Facebook, e sul nostro profilo Twitter, con #chiediloalgiova

La domanda di oggi, ci è posta da Benvenuto: non è meglio che il mondo dei supereroi possa “cambiare”, mostrando, ad esempio, i vecchi eroi andare definitivamente in pensione?

Dopo millenni di storia umana, far nascere un concetto totalmente nuovo è quasi del tutto impossibile. Quello che è possibile però è combinare quello che già esiste, in modi più o meno differenti, per creare qualcosa che magari non è davvero nuovo ma lo sembra.
Certo, questo porta anche all’annoso problema del voler comparare a tutti i costi il prodotto tal dei tali con un prodotto simile, ma sto a meno di dieci righe e sto già divagando.
Il genere superoistico è un esempio di concetto creato dalle fondamenta dei giganti: ha degli elementi presi dal Fantasy, degli elementi dalla Fantascienza, e degli elementi dalla Soap Opera. Per questo ha una base politico/sociale filtrata da un’impossibile senso di meraviglia e una buona dose di equivoci emotivi che, come gli elementi di una grande ricetta, sono buoni da soli, ma sono migliori se gustati tutti insieme.
Con l’avvento di Superman e con l’arrivo di tutti i suoi seguaci, il genere ha raggiunto vette altissime, fissandosi come uno stabile nella cultura moderna.

I suoi personaggi sono diventati icone, anche nel caso in cui non si sia mai fruito di uno dei loro sviluppi nei vari media e si sia a malapena a conoscenza della loro esistenza  e perchè no, magari si sanno anche due/tre fatti su alcuni dei protagonisti di questo affresco fatto di mantelli, come del resto si sanno alcuni dettagli sui grandi classici della letteratura, o della musica, o del cinema e ad libitum sfumando.
La forza dei supereroi è così preponderante che, negli ultimi 80 anni, almeno un omino in costume è sempre apparso nelle nostre edicole. E spesso si trattava sempre dello stesso. Quindi, la domanda sorge spontanea: mangerei lo stesso piatto di pasta per 80 suonati, senza cambiare una virgola? E la stessa cosa, può valere per il fumetto di supereroi?
La risposta è però più complessa di quanto sembri e si articola su vari livelli.
Il primo è quello più semplice, ovverosia quello del pubblico. Uno dei problemi pedagogici più grandi di questo mondo è il pensare che tutti abbiano le stesse risposte ai problemi della vita, quando in realtà, le persone hanno solo le stesse domande; le risposte sono diverse per ognuno. Pensateci, tutti ci chiediamo se il cibo tal dei tali sia mangiabile, ma ognuno si dà una risposta diversa. E per qualcuno l’idea di vedere sempre la stessa cosa per 80 di fila sembra una tortura pari al mangiare una ciotola di sassi, per qualcun altro l’idea di avere delle certezze ed una routine, è una sorta di salvavita.
Ambedue le posizioni hanno ovviamente vantaggi e svantaggi all’interno di un discorso di fruibilità del medium, e paradossalmente non si escludono a vicenda. Un ciclo continuo di cambiamenti, può tutto sommato essere un diverso tipo di routine, ma comunque uno che riesce a tenere il lettore incollato alla sua sedia.
Quello che conta però, è che ogni lettore ha una diversa connessione emotiva con ogni personaggio o concetto, per quanto, dall’esterno, ci possa sembrare strano.
Ricordo una volta che scrissi sul blog che Colosso, il mutante in grado di trasformarsi in acciaio organico, è più forte della Cosa, l’uomo fatto di roccia organica. E, da fuori, la cosa sembra quasi logica, è più facile rompere un sasso che un blocco d’acciaio, ma la reazione a questo fatto, fu devastante. Molti lettori erano increduli, come se gli avessi rivelato che in realtà sono le rane a dominare la terra. E la cosa buffa era che la stessa reazione l’avevo avuta io. Questo è un dibattito che ha poco senso, non importa chi sia più forte fra due personaggi, contano che uomini siano sotto la loro copertura artificiale, ma a livello primigeno, vogliamo che la cosa che piace a noi, sia sempre un po’ meglio delle altre.
Volenti o nolenti, noi pubblico, ci affezioniamo a personaggi o concetti, che risuonano con noi a vari livelli della nostra personalità, e vederli andare via, o sparire, ci fa, a nostro modo, rimanere male.
Fenomeno comunque che esiste da decenni nella letteratura seriale, basti pensare a quando Conan Doyle uccide Sherlock Holmes e fu costretto a riportarlo in vita, dopo centinaia di lettere dei fan inferociti.

Il secondo livello, dell’altro lato del fumetto, è quello lavorativo.
Vi rivelo un segreto. Guardando da fuori una situazione, quest’ultima sembra sempre molto più banale di quanto sia in realtà. Quando una nostra amica, si fidanza con un puzzone, ce ne accorgiamo molto prima, di quando col puzzone ci fidanziamo noi, per farla breve.
Truffaut diceva che ognuno di noi ha due mestieri: il suo e quello del critico cinematografico.
Applicandolo al nostro caso, molti, moltissimi lettori spesso si improvvisano addetti ai lavori, facendo discorsi che spesso non tengono conto di logiche che sono a loro completamente esterne.
La scrittura è una forma d’arte, fra le più (apparentemente) semplici. Gran parte del mondo impara a scrivere piuttosto presto e tutte le culture del mondo narrano storie. Veniamo spinti a disegnare fin da tenera età, ed il disegno è una questione di impegno costante, oltre che di talento: se lo faccio molto, per molto tempo, non mi è impossibile ottenere dei buoni risultati.
E quindi, spesso e volentieri, se qualche amico ci dice che siamo bravi, se abbiamo un minimo di successo in piccoli circoli, ci viene in mente che forse abbiamo capito quello che c’era da capire, su qualcosa, che, nell’ambito del fumetto commerciale, è un lavoro
Un lavoro molto bello, ma comunque un lavoro, che va fatto in una certa maniera. E io credo fermamente che chi scriva possa definirsi scrittore, chi disegna disegnatore, ma, ci trovo la stessa differenza fra chi fa l’educatore all’oratorio, e chi lo fa di mestiere: cambia totalmente l’approccio. 
E sebbene, si possano leggere articoli sul mestiere, si possano sentire persone all’interno dello stesso rivelare qualche segreto qui e la, questo, non basta per capire come funziona il settore per davvero.
Quando si produce un fumetto, si possono scegliere varie strade, ma in questo caso, focalizziamoci su due: o si da al pubblico quello che vuole, o si va per una strada diversa, sperando che i lettori ci seguano.
Come prima, sono due approcci diversi, che portano a risultati completamente diversi, ma si tratta di scelte, dove il pubblico, semplicemente, non dovrebbe mettere troppo becco.
Con questo, non voglio dire che gli addetti ai lavori non sbaglino mai, e che non ci si debba mai lamentare di certe scelte, sarebbe folle ed ipocrita dirlo, ma sarebbe ancora più folle pensare che tutti quelli che leggono i fumetti abbiano capito la formula magica per rendere un fumetto funzionante in ogni singolo contesto.
La scelta di cosa fare, non è in mano a colui che fruisce dell’opera, alla fine della fiera, è nelle mani di chi la crea.

Il terzo, ed ultimo livello, è quello che sembra esulare dal personale, ma che è forse il più personale di tutti: quello del mercato.
Ricordate la domanda fatta prima? Chi penserebbe che mangiare lo stesso piatto per 80 sia una buona idea?
Beh, la risposta è in realtà semplice: un gran mucchio di gente.
Mettiamo in chiaro una cosa: in un modo fatto di social, di informazioni interconnesse per il quale se Hulk dovesse morire, lo sapremmo ormai prima noi che il team creativo della sua storia, spesso e volentieri sentiamo pareri molto rumorosi sullo stato dei fumetti. C’è chi dice che stiano morendo perchè vendono di meno (e che il fatturato sia minore è vero), chi dice che vorrebbe più serie di questo, oppure un ritorno di quella proprietà… ma alla fine, quello che bisogna fare per osservare un cambiamento, è molto semplice: votare col proprio portafogli.
Nel pantheon, delle grosse case editrici, quando si cambia uno stabile, il cambio, per la maggior parte delle volte, non piace.
Non è matematica ma quasi. Per alcuni il concetto di cambiamento finto è addirittura parte della serialità, e finchè questo concetto viene premiato, la domanda non è più “Ha senso cambiare”, ma “Perchè farlo, se non farlo mi porta profitto?”.
Il mondo del fumetto, come tutti gli hobby, è un mondo fatto di una forte, fortissima connessione emotiva, di fortissimo tifo, e di ancor più forte desiderio.
Desiderio che si declina in molti, moltissimi modi, alcuni bellissimi, come lo scoprire sempre più storie, sempre più mondi, ed in alcuni casi, in modi pessimi, come un forte desiderio che le cose siano sempre come stiano.
Per quanto ci possa vedere come appassionati “illuminati”, liberi da ogni catena spirituale al mondo del fumetto, è facile che la maggior parte di noi, abbia un certo tipo di connessione con una proprietà, e che senta molto difficile lo staccarsi da essa, o il fatto che questa stessa venga modificata in qualche maniera.

Io, Giovanni, detesto lo stare “congelati” dei fumetti. Lo detesto fortemente. Specie perchè, nel corso degli anni, abbiamo avuto plurimi esempi di cambi di rotta intelligenti e ben gestiti, basti pensare alla sostituzione del secondo Flash con il Terzo Flash, che, checchè se ne dica, salvò la serie dalla cancellazione, all’arrivo di tutti i vari supplenti di Superman, alla creazione di un nuovo Uomo Ragno, et cetera, et cetera.
In un mondo perfetto le storie andrebbero avanti in modo progressivo, anche perchè, alla fine, quando le cose nelle nostre serie preferite cambiano, nessuno viene in casa nostra a bruciarci i vecchi fumetti col lanciafiamme, impedendoci di rileggere le storie che ci hanno fatto innamorare.
Il cambiamento è l’unica costante della vita come amava dire il me stesso di 17 anni, sentendosi così profondo e così intelligente.
Ma in quel caso, quel cretino pretenzioso aveva ragione. Ma il cambiamento, può far paura. E chi vuole aver paura nei propri hobby? L’errore, è vedere il fumetto come una cosa personale. Per quanto io legga i fumetti nel mio studio, da solo, non sono l’unico a leggerli. Sono uno di centomila. Trecentomila. Un milione in rarissimi casi. L’esperienza di lettura, è personale. I concetti alla base, non lo sono. 
Se la domanda venisse posta a me, oggi, “I supereroi possono cambiare?” la mia risposta di pancia sarebbe “Devono”. Perchè tutte le volte che lo hanno fatto, a me sono sempre piaciuti di più.
In alcuni casi può essere un discorso di qualità reale, in alcuni casi, no. Solo di modo personale di vedere le cose. La mia risposta di testa, sarebbe un “Forse, piano piano”. Questo perchè, nel bene o nel male, i supereroi delle case editrici grosse hanno avuto dei cambiamenti, come del resto lo hanno avuto i miti, le leggende o le favole (cappuccetto rosso nasceva come moralizzatrice del sesso, fate un po’ voi). Il cambiamento è cablato nel cuore del supereroe, un tizio per la quale, lo stesso cambiamento d’abito è un tropo cruciale.
L’Uomo Ragno ha distrutto l’idea che i ragazzini non potessero essere eroi, Savage Dragon ha dimostrato che puoi fare a pezzi lo status quo, diventando anche un porno a tratti, ma continuare a raccontare la tua storia, Wonder Woman ci ha sbattuto in faccia che sì, anche le donne possono essere eroine.
Ci sono stati anche alcuni esperimenti, come la Terra-2 della Dc, che hanno visto nuove generazioni di personaggi prendere il posto di quelli vecchi in modo organico, ed hanno avuto negli anni un certo successo, ma sempre inferiore a quello delle loro controparti, che invece non cambiavano mai. Come del resto, hanno meno successo quei fumetti indipendenti, con personaggi meno iconici,ma che possono permettersi di cambiare.
Certo, il successo, non è una virtù. Forse è più una condizione di vita. E forse, sarà la scusa dei mediocri, ma a volte hanno successo non le cose più belle, ma quelle che semplicemente acchiappano più persone.
Non è felice da dire, non è un analisi arguta, anzi, è piuttosto ingenua, ma è anche….beh….vera.
E quindi, io, sinceramente, sono rimasto sempre un po’ scottato da alcune scelte fumettistiche, che cambiano cose che sarebbero state a posto anche se non le avessero cambiate, nascondendosi dall’elefante della stanza, ovverosia che Batman ha sempre trent’anni.
Ma d’altro canto, alcune storie possono esistere, solo perchè quel personaggio, la cui identità borghese è legata strettamente a quella mascherata, esiste.
Per me, questa faccenda, resta un male minore rispetto all’immobilismo.
Per altri no. Ma la sapete una cosa? Va bene lo stesso. Ci sono una marea di fumetti da leggere. Se alcuni vogliono restare immobili, non è detto che debba farlo anche io.

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