Una storia che ha fatto la storia
Leggenda vuole che, nel 1962, dopo aver inventato Hulk assieme a King Kirby, Stan Lee si fosse posto una domanda abbastanza esistenziale: Ora che abbiamo inventato l’uomo più forte dell’universo, come possiamo fare qualcosa di meglio? Chi è più forte di un uomo forte? E la risposta, molto alla Jay-Z, è “un Dio”.
E così, Stan Lee che sapeva che la testata di fantascienza “Journey into the Mistery” non stava andando molto bene, decise di lanciare proprio sulle pagine di quell’antologico una nuova serie, con protagonista proprio un Dio, Thor, il dio norreno del tuono. Lee pensava che ormai il pubblico americano conoscesse abbastanza bene gli dei della mitologia greco/romana, e quindi l’idea di esplorare un altro pantheon sembrava ghiotta, anche perchè Jack King Kirby era abbastanza ferrato sulle storie della leggendaria Asgard, e quindi sicuramente sarebbe potuto nascere un bel prodotto.
Stan Lee scrisse così una trama, passò il tutto al fratello Larry per sceneggiare l’avventura, e poi arrivò il Re, a metterci sopra la sua mano d’oro; era nato un nuovo personaggio a fumetti.
Ora, per quanto Lee, Lieber e Kirby fossero degli innovatori mica da ridere, ancora si aveva l’idea che un personaggio molto forte, dovesse avere delle debolezze piuttosto sciocchine per poter esser scritto con efficacia, e quindi decisero di rendere il loro nuovo supertizio un pelo più umano.
Nella sua prima versione quindi, Thor era stato maledetto dal padre Odino per avere una fragile forma umana, il claudicante medico Donald Blake, che poteva mutarsi nella sua forma divina solo battendo un bastone magico per terra.
Una volta fatto ciò, il bastone diventava Mjolnir, il martello leggendario di Thor, che in questa versione aveva anche un incantesimo particolare: solo chi era veramente degno del potere di un dio, poteva sollevarlo.

E così, le prime avventure di Thor avevano questa base molto semplice: succedeva un pasticcio, Don Blake si trasformava in Thor, e lo risolveva, ma poi questo metteva in crisi la sua vita civile, a volte qualcuno toglieva il bastone al medico e quindi blabla. Una storia molto semplice, per un personaggio tutto sommato molto affascinante che, sebbene negli anni si fosse anche unito ai potenti Vendicatori, raggiungeva il suo più grande splendore in alcune storie d’appendice dove Lee ed il Re raccontavano a fumetti, alcuni miti e leggende norreni.
Nel 1983 la testata di Thor, venne data in mano a Walter Simonson, un artista del Tennessee, che negli anni del college aveva scoperto la Marvel Comics, e si era innamorato talmente tanto del personaggio di Thor, che aveva iniziato a lavorare ad una sua storia per il Dio del tuono. Questa era la sua occasione, e Walter curò i testi ed i disegni della testata.
E così, nel primo numero di questa nuova avventura, due sono le cose importanti: la prima è che Thor perde il suo martello contro un altro personaggio, che a livello di trama è una roba straordinaria, lo so, ma ve ne parlo tra poco. La seconda, signore e signori è una serie di immagini che rappresentano un fabbro cosmico che forgia qualcosa nello spazio, e ogni colpo del suo martello compone la parola “DOOM”, che noi italiani traduciamo spesso come “Destino”, ma che in inglese è molto più un eufemismo che possiamo tradurre come “Destino Tragico”, oppure come “Morte”.
La stelle stanno morendo, per lanciare un messaggio di sventura e presagendo una svolta di trama non indifferente, con tutta questa serie di vignette che faranno la loro apparizione per un anno intero di pubblicazioni prima di mostrarsi per quello che erano davvero.
Esatto, mentre tutto accadeva, mentre Thor si faceva i suoi giri, qualcuno, nello spazio, stava forgiando il destino, gettando le premesse per qualcosa di sconvolgente. E se questo è solo l’inizio, per la miseria non fatelo finire mai.

Torniamo al martello di Thor. Ora, in un universo narrativo dove milioni di persone hanno visto Capitan America sollevare il martello di Thor, in una scena epica di un film epico, il fatto che qualcun altro potesse prendere in mano Mjolnir, non è una cosa così strana.
Ma prendiamo in considerazione due cose: intanto nel 1983, nessuno, e dico nessuno, era mai riuscito a sollevare il martello. E la seconda è che a farlo non era un bellissimo adone a cui il mondo vuole bene, ma un alieno cyborg con faccia da cavallo, chiamato Beta-Ray-Bill.
Le lettere a Simonson fioccarono come neve durante una tormenta. Ed era esattamente quello che Simonson voleva.
Ora, ve la faccio breve, o almeno ci provo. Bill è il protettore di una specie aliena minacciata da dei demoni di fuoco (che oltretutto, sono molto amici del fabbro cosmico di qui sopra), e quindi ha sacrificato la sua vita ed il suo corpo diventando un bestione fortissimo per poter proteggere la sua gente. Ora, uno che ha dato tutto e non ha ottenuto niente – perchè Bill è solo mentre la sua gente si nasconde -, uno che ha sacrificato la sua umanità volontariamente per salvare il mondo…Non è forse degno, del potere di Thor?
Bill era un classico personaggio Marvel: un tipo mostruoso, con superproblemi, ma col cuore buono. Hulk, la Cosa, a modo suo persino l’Uomo Ragno. Eppure nessuno lo aveva capito, tutti pensavano fosse cattivo, ambiguo. E invece, in puro stile Marvel, Bill (che, fatto buffo, in originale si doveva chiamare Beta-Ray-Jones, che mi piace un sacco di più) era uno dei più grandi eroi non solo della Terra, ma dell’universo stesso.
Tanto che addirittura Odino arriva ad ammirare l’alieno, tanto da decidere di donargli un martello uguale a quello di Thor, chiamato Stormbreaker. Lo stesso Thor inizia a vedere Bill come un fratello, creando un rapporto strettissimo che durerà per anni ed anni.
Pensate a quanto è bella l’idea di usare una mossa di storytelling che era scritta nell’identità di un personaggio da vent’anni, ma nessuno l’aveva mai sfruttata appieno. Pensate cosa vuol dire leggere e seguire, amare una serie per anni, e vedere un colpo di scena che era sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno aveva mai sfruttato. E poi, pensate alle ramificazioni di questa mossa. A che numero siamo? Quattro? Beh. Dai. poca roba.

Ed in tutto ciò, visto che con Bill erano stati fortunati, il martello era arrivato ad un uomo buono, ma poi , visto che non si sa mai cosa può succedere, Odino toglierà a Thor tutte le sue limitazioni: viene eliminata l’identità di Don Blake, Thor è sempre in forma divina e decide di mimetizzarsi fra gli uomini fingendo di essere un muratore di nome Sigurd Janson.
Il processo di scrittura di Simonson, può quindi essere veramente racchiuso solo nell’idea di Beta-Ray-Bill.
Mi spiego meglio, Simonson nel suo ciclo, fa un lavoro all’apparenza semplice, ma che nasconde dozzine e dozzine di sfumature.
Potremo definirlo, uno stile in tre direzioni: la direzione Marvel, la direzione Mitica, e la direzione artistica.
Direzione Marvel perchè, sebbene Thor abbia i suoi affari, questo è un ciclo fermamente fissato nella continuity dell’universo nella quale il dio del tuono vive e respira, un ciclo dove ci si ricorda perfettamente tutto quello che è successo nelle storie precedenti, e si costruisce un raffinato affresco di continuity fatto con una leggiadria tale che non serve aver mai letto nulla di Thor, per capirlo.
Mitico, perchè la componente mitologica è fortissima in questo ciclo, i riferimenti alle leggende di Asgard sono cruciali, ed espandono la già grande epica di Thor in modo organico ed interessante, aprendoci ad una narrazione che ci rivela che sì, va bene, l’universo Marvel è importante, ma c’è molto di più, quando si racconta una storia, rispetto al focalizzarsi sul quartiere dove viviamo.
E infine, la direzione artistica.
Simonson, è un disegnatore americano con chiare influenze americane, ma anche europee. C’è una crasi tutta personale, ma in una tavola del buon Walt non si può non vedere un po’ di King Kirby, un po’ di Moebius e anche un po’ di Toppi.
Questa direzione ibrida, questa voglia di disegnare su vignette e pagine irregolari, con un dinamismo a volte sporco e a volte invece preciso al millimetro, questa capacità di gestire storie a lunghissimo raggio e al contempo di strutturare con pochi tratti un’emozione sul volto di in un personaggio, è la chiosa finale di un trittico quasi perfetto.
Simonson si appoggia a dei grandi maestri, a dei mostri sacri di narrativa come possono essere le leggende millenarie e la cultura pop del momento, e dalle spalle dei giganti, si butta in picchiata aggiungendo una talento narrativo splendido. E se pensate che tutto questo sia pomposo, ed elegante forse anche troppo in alcuni momenti… beh avete ragione solo in parte.
Perchè, in questo ciclo di Thor, c’è anche una vena burlona, quasi comica, fatta sia di siparietti molto divertenti, sia di idee che sembrano fuori posto, ma che se guardate bene sono sempre piantate su qui tre principi fondamentali.

L’esempio che più mi viene in mente, è Throg, il Thor trasformato in ranocchio. Ahah, tutti a ridere, meme di internet, è il personaggio più bello del ciclo detto per fare gli splendidi, e va bene, ci sta.
Ma guardiamo attentaente la cosa. Lato leggendario: quante volte un dio od un personaggio si è trovato trasformato in qualcosa di strano contro il suo volere? Lato Marvel: quante volte abbiamo visto trasformazioni stranissime durante gli anni di fumetto? Lato artistico: in quanti, sarebbero in grado di trasformare Thor in una rana, e renderlo credibile, buffo ma anche pieno di gravitas?
Non rispondete, va bene così.
Se Bill, con la sua faccia equina era solo parte dell’equazione di questa storia, che è tutto un crescendo, e anche i suoi momenti di riposo sono sempre altissimi, Throg è l’apoteosi del percorso di Thor, che passa dall’essere stato sollevato dalla sua forma fragile umana, per esser poi rinchiuso in una forma ancora più fragile, ancora più ridicola, ma che, grazie alla sua crescita personale, non solo fa sua, ma fa sua in modo leggendario.
Durante i suoi cinque anni di lavoro, Simonson sarà sempre sceneggiatore della maggior parte delle storie, ma non sarà sempre il disegnatore, e per alcuni numeri avremo alle matite Sal Buscema, uno dei grandi maestri del dinamismo a fumetti, che nel parere di chi scrive era meno incisivo di Simonson, ma che comunque fece un lavoro egregio nell’esecuzione di alcune mosse tutto sommato molto complesse.
Ma il cambio di disegnatore non cambiò il senso dell’avventura, che anzi, aumentava sempre di più, arrivando fino ad un finale che non posso che definire epico, visto che prende proprio da lì: Thor, si scontra con Jorgmundar, il serpente lungo come il mondo.
La leggenda, vuole che, alla fine del tempo, Thor ed il serpente lottino, e che Thor l’abbia vinta, solo per essere avvelenato dal serpente, e morire dopo aver mosso solo nove passi.
Ora, ci sono momenti bellissimi in questo ciclo. Ci sono momenti di alcuni personaggi secondari che ve li faranno amare per sempre, Lady Sif che combatte contro tutto e tutti, qualunque cosa dica Beta-Ray-Bill, anche Loki ha i suoi momenti, la famiglia di Volstagg, Balder il luminoso che prega non per la sua vita ma per quella dei suoi avversari e la scena di Skurge l’esecutore che è forse una delle cose con più anima che io abbia mai visto in un fumetto….Ma c’è un momento, che forse non è un momento topico, che forse lo è solo per me, ma che secondo me racchiude tutto quello che è poi la vera regola del tre di questo ciclo.
Thor è di fronte al serpente, ma questo ignora chi ha di fronte. Così Jorgmundar chiede al suo avversario di dirgli il suo nome.

E in puro stile Fantasy, Thor inizia la sua tiritera, dicendo di avere molti nomi. E dice “Mio padre, mi chiamava Figlio. Mia madre, mi chiamava tesoro. Ma sotto la volta del cielo, mi chiamo Thor”.
La regola del tre: l’epica, che ti chiama figlio perchè ti ha generato, la Marvel che ti chiama tesoro, e l’arte, che ti chiama Thor.
Il Thor di Simonson, ha fatto una cosa che pochi, pochissimi autori sono riusciti a fare. Simonson è riuscito a reinventare un personaggio, costruendo su tre piani narrativi diversi, ottenendo un risultato splendido.
Il Thor di Simonson non è un capolavoro, il Thor di Simonson è un classico. E classico vuol dire che trascende il suo tempo, e diventa immortale. Buffo, esattamente come Thor.
In questa storia abbiamo un dio del tuono che riesce ad essere dio, uomo e personaggio Marvel tutto contemporaneamente, mostrandoci non solo una grandissima crescita personale, ma anche una masterclass su come si debba scrivere il viaggio dell’eroe.
Dalla perdita, alla vittoria di Pirro, al finale aperto, ogni singola mossa di scrittura di Simonson, sebbene sia già stata vista da altre parti, funziona come un orologio svizzero e ti sorprende sempre, anche se conosci a menadito la mitologia, la Marvel o tutto lo scibile umano.
Perchè in queste storie Thor prende vita e si dimostra per quello che è: un personaggio forte, fortissimo, più forte dell’uomo più forte… ma sempre restando una persona con doveri, sogni e speranze.
Un Thor che non è più pedina del destino e che, sebbene possa (e può) distruggere un male grande come un mondo, vede la sua più grande ricchezza nei rapporti che riesce a creare, nelle vite che riesce a proteggere, mentre il mondo va avanti e lui lavora sul trovare il suo posto in esso.
E tutto questo, è tanto bello e chiaro, ma perchè in un mondo dove esistono dozzine, se non centinaia di cicli di supereroi, questo è il migliore di tutti? Perchè è questa la pietra di paragone secondo me?

Semplice. Perchè che cos’è un supereroe? Ci sono molte definizioni, ma stringate all’osso, un supereroe è una figura di fantasia, calata in un contesto di fantasia, con delle regole e degli stilemi precisi, raccontato spesso da più persone.
E che cos’è una leggenda? Esatto. La regola del tre, con cui vi ho ammorbato per tutto l’articolo, è tutta qua. Nessuno, in nessun altro ciclo di supereroi, è riuscito così bene a fondere mitologia, pop e stile in un unica forma così pura, così roboante e così senza mezzi fini che non fosse raccontare un grande grandissima storia. Una storia che si incastra in un mosaico di storie più grande, ma al contempo ne esce totalmente da quanto è potente, spiccando in un oceano multicolore fra tante belle creature marine come una megattera gonfia di stile e di bellezza.
Ci sono state molte cose nei fumetti, belle forse anche più di questo ciclo, ma avevano intenti completamente diversi. I Nuovi Dei di King Kirby erano molto più mitologia, i Fantastici Quattro di Lee e di King Kirby erano molto più supereroe e il Superman di Siegel e Shuster era ancora grezzo come quasi tutti i capostipiti sono.
Se vogliamo valutare le grandi storie, questo ciclo di Thor ha un posto alla loro tavola assicurata.
Ma se parliamo di supereroi e di come devono essere fatti, allora questo Thor, ha in testa una corona.
E lo sapete, forse sono stato pomposo, roboante, in questa descrizione. Come un tuono, che secondo Mark Twain era un qualcosa di appariscente ma che non riusciva a fare il lavoro vero. Quello lo fa il fulmine, il genio in bottiglia. La creatività. Il talento. Il mio è tuono, sono solo suoni, parole. Ma, come diceva Jules Verne, se non ci fosse il tuono, nessuno avrebbe paura del fulmine. Quella paura ancestrale, quella sindrome di Stendhal che ci prende quando vediamo o ci raccontano cose impressionanti. Ecco, questo ciclo, parla del Dio, del Tuono, e del Fulmine. Potete immaginare che possa fare sia il lavoro sporco, sia mettervi paura. Perchè dopo aver letto questo, nulla sarà più come prima. Almeno, per me è stato così.
- – Una serie che riesce a ricatturare lo spirito del personaggio
- – Una rivoluzione nel mondo dei supereroi
- – Segnali di stile a non finire, nei testi e nei disegni
- – Il cambio di disegnatore può risultare un po’ ostico
