My Hero Academia, letto da un non lettore di manga-Speciale

Andiamo oltre i nostri limiti!

elle menti degli appassionati di cultura pop c’è sempre una radice di conflitto. Nintendo contro Sega, Il Signore degli anelli contro Narnia, adattamento contro opera originale e, infine, comics contro manga.
Checchè se ne dica, la lotta esiste, almeno nella mente di alcuni appassionati che passano il loro tempo ad elogiare i pregi dell’uno o dell’altro, in una battaglia per una, francamente, poco utile superiorità.
In realtà vi ho detto una bugia nel titolo, ma una piccola. Non è che non ho mai letto manga nella mia vita, anzi, nel 1997 giurai che non avrei mai letto un fumetto di supereroi; per un po’ la mia vita di lettore veniva divisa fra la produzione disneyana e quella giapponese, e ammetto quindi che quando mi hanno fatto dono del primo numero di questo manga – che in questo momento sembra essere sulla cresta dell’onda – non ero certo a digiuno di avventure nipponiche.
Certo, dal 2004 ho iniziato a collezionare fumetti americani – portandomi in una spirale che mi permette di sapere quanto pesi Hulk – e la mia passione per il Giappone si è spenta nel tempo ma, come uomo dei fumetti della nostra bellissima nave chiamata GameSailors, ho pensato che sarebbe stato carino scrivere qualcosa a riguardo di quest’opera, con un occhio diverso rispetto a quella dell’appassionato dello zoccolo duro.

Per chi come me, non sapesse granchè della trama, nel mondo di My Hero Academia (o MHA), tutti gli esseri umani possiedono superpoteri piccoli o grandi, chiamati Quirk. Alcune persone, dotate di Quirk particolari, decidono di usare queste loro abilità per fare del bene, portando così alla nascita di una nuove professione: quella dell’eroe. Esiste infatti una scuola dove ci si può addestrare sotto l’occhio di alcuni dei più grandi paladini dell’umanità, per diventare eroi a tutti gli effetti e aiutare il mondo a combattere la minaccia dell’inevitabile male.
Siccome oggi sono tremendo, vi ho detto un’altra piccola bugia: non tutti gli abitanti del mondo possiedono un Quirk. Il nostro protagonista, Izuku “Deku” Midoryia, infatti non ne possiede alcuno, ma, siccome siamo in un fumetto, il destino sarà presto gentile con lui, mettendogli sulla strada All-Might, il più grande eroe del mondo, così forte e potente, da poter cambiare il tempo atmosferico con lo spostamento d’aria scatenato dai suoi cazzotti. All-Might non solo sta però molto male dopo una battaglia con il suo arcinemico, ma possiede un Quirk particolare, che può essere donato a qualcun altro, trasformando così Deku nel suo successore.

Ovviamente, il solo ricevere il potere non renderà immediatamente Deku il più grande eroe del mondo e le cose adranno prese un passo alla volta. Per compiere questi passi esiste l’Academia, dove il nostro imparerà ad usare i suoi poteri ed interagirà con i compagni di scuola, tutti aspiranti eroi, combattendo anche molte battaglia con numerosi criminali.
E così il palco è pronto, i personaggi (che sono davvero tanti) sono messi in gioco, e la storia può andare avanti, nella classica tradizione del genere Shonen: fumetti scritti con i mente i ragazzi, basati sull’azione e su sfide durissime.
Il manga sa benissimo di essere fortemente ispirato dai fumetti americani, almeno in superficie, e spesso ci scherza su con momenti dove questo o quel personaggio dice “Oh, se questo fosse un fumetto americano succederebbe questo!”, e, in alcuni casi si possono trovare alcune citazioni al mondo del comic made in USA, anche se, spesso e volentieri, si tratta di coincidenze più che di arguti rimandi.
Diciamo che però questa è una delle due grandi forze del manga, quella del lato più umoristico, della strizzata d’occhio a questo, o quel tropo della narrazione di un altro genere, rivisitato con l’occhio del fan, ma del fan un po’ più sgamato, che sa quanto quest’ultimo possa essere semplice, o prevedibile. L’uso dei superpoteri viene anche limitato da vari fattori più o meno creativi o reali, come il potente Eraserhead, che può cancellare temporaneamente i poteri di chiunque solo guardandolo….ma soffre di secchezza oculare, e deve quindi spesso chiudere gli occhi.

L’altra grande forza del manga sono i personaggi. Come molte opere moderne, la storia in sé non conta una cippalippa. La maggior parte del cast ha lo stesso obiettivo, essere il più grande eroe di sempre e… basta. Tutto qui. La trama molto mingherlina, viene sostenuta dalla muscolatura potente di un cast molto variegato ed espanso, nel quale ognuno ha una particolarità che lo rende interessante, spingendoti a pensare che sia impossibile non trovare qualcuno che sia il tuo preferito, anche se non è il protagonista. E in quel caso l’obiettivo comune non diventa un problema, anzi, è la chiave di volta per far sì che tutti i personaggi abbiano voglia di crescere e migliorarsi, sia nell’uso dei loro poteri, sia a livello personale.
Un livello personale che si riversa, nella base di ogni shonen che si rispetti nelle battaglie. Scontri che non sono spettacolari di per sé e a livello di azione, ma sono spettacolari proprio perchè i personaggi le rendono tali. Alcune sono semplici gare a chi tira il cazzotto più forte, ma non è l’impatto del cazzotto che conta, quanto l’impatto emotivo di quel cazzotto, l’impatto che avrà quel cazzoto su Deku, o su All-Might.
Perchè, My Hero Academia, come ogni buon supereroe, ha una maschera. Di facciata, sembra un manga d’azione, ma in realtà, semplicemente non lo è.
Perchè, sebbene rida e strizzi l’occhio ai tropi dei comics USA, è colmo e stracolmo di tropi nipponici. Di momenti lenti, lentissimi messi lì per fari aspettare il grande botto della scena d’azione, con un ritmo del tutto sconesso della narrazione. Con un cast anche troppo grande, dove la particolarità di questo o quel personaggio diventa la sua sola particolarità, in modo da poterti manipolare emotivamente nel dire “guarda come è cresciuto questo eroe”, quando in realtà ha semplicemente aggiunta una nota alla sua personalità, che non sia “sono quello scemo”.

Personalmente, mi rendo conto di non sapere mai quando un qualcosa nella narrativa giapponese sia un problema, o se sia solo un modo di raccontare. Ma va bene così, le recensioni sono opinioni, e questa di base è la mia. Non posso dire che My Hero Academia sia un fumetto brutto. Credo che sia però essenzialmente generico, ma con una bella patina di colore acceso.
A prima vista, sembra qualcosa di nuovo, qualcosa di profondo, qualcosa che può davvero rompere degli schemi… ma poi finisce per crearsene attorno altri, ancora più rigidi.
Nel momento, quel pugno, dato con forza, magari accompagnato da una frase ad effetto, ti colpisce. Ti lascia a bocca aperta. Ma quando il fumo si dirada, quando la terra smette di tremare, e bisogna ricostruire… My Hero Academia prende il giro lungo, molto, molto lungo… e poi tira un altro pugno.
Non sono un grande lottatore, ma credo che, a questo fumetto manchi un focus, un’attenzione sul dove colpire con quel pugno. Perchè un momento emotivo pieno, è bello, ci mancherebbe altro. Ma i restanti novantanove di vuoto no. Manca un qualcosa, anche di non strutturato, che però dia più corpo al tutto, che renda tutta la narrazione un qualcosa di più organico, che sfrutti i suoi punti di forza, e che non si nasconda dietro qualche trucco narrativo ormai vecchio come il cucco.
My Hero Academia deve osare perchè, davvero, non è un’opera brutta o un panino ammuffito. Ma è una minestra riscaldata, con dentro dei crostini freschi per mascherarne il sapore. Deve osare oltre a voler giocare a travestirsi da occidentale, cosa che fa benissimo, ma seguire il suo stesso consiglio e volare oltre i suoi limiti. Come dicono loro, Plus Ultra.
Detto questo, concludo con questa cosa che non posso tacervi: nel fumetto c’è un personaggio che si chiama Gran Torino ed è basso. La cosa che mi fa più ridere del mondo, e sono serissimo, è pensare di chiamarlo Small Torino.

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