Pubblicata per la prima volta nel 1995, “Dropsie Avenue” è, sebbene il termine sia piuttosto polarizzante in questo periodo, una graphic novel scritta e disegnata da Will Eisner, che dal 1936 si rivelò essere uno dei pionieri del fumetto americano per come lo conosciamo, sia mainstream che d’autore.
“Dropsie Avenue”, è sia una storia, sia un’insieme di storie, ma per parafrasare un altro grande del fumetto, non lo sono tutte?
Questo perchè, Dropsie Avenue ha come protagonista più che una persona, un insieme di persone, per non dire un quartiere fittizio che in realtà è il Bronx di New York.
Eisner ci porta così in un lungo viaggio, che parte addirittura dai primi coloni americani, fino ad arrivare ai giorni nostri, catalogando tutti i cambiamenti estetici e sociali di questo lembo di terra, alla quale molti, moltissimi hanno amato, e che in molti di più sono poi arrivati ad odiare.

Strutturalmente infatti, Dropsie Avenue ha molti protagonisti, con alcuni personaggi più o meno ricorrenti, sistemati nell’unica cornice che rimane costante, che è quella del quartiere.
E ora, ad una prima occhiata, si potrebbe fare una di quelle mosse di critica nella quale si parla del fatto che l’oggetto inanimato sia il vero protagonista della serie, e si potrebbe anche dire così, se non fosse che il lato umano è talmente carico di emozioni, che semplicemente non si può ignorare.
Perché, sebbene il cast cambi, sebbene ci sia chi è felice a Dropsie, sebbene ci sia chi perde tutto a Dropsie, è impossibile non notare come il centro del fumetto resti lo stesso. C’è quel senso di appartenenza strano, quasi ossimorico, che ci porta ad odiare una cosa perché la conosciamo troppo bene e vediamo il suo vero volto distorto da anni di vita difficile, e al contempo ci porta ad amarla quella cosa, perché la sentiamo nostra. Quel rapporto che si può avere con un amico supponente, con una mamma pressante, o anche con un hobby a cui si tiene molto.
In questo caso, il protagonista quindi non è il quartiere, ma l’idea di quartiere, quella sensazione umana primigenia, che è la paura. La paura di cambiare, e la paura di perdere. Perdere cosa? Beh, tutto. Tutto quello che si ha.

La paura di perdere il posto di lavoro, la paura di essere picchiati, la paura di non essere più l’etnia dominante in un quartiere, la paura che non ci sarà mai più un posto da chiamare casa.
Eisner danza fra questi concetti con una leggiadria quasi eterea, con delle vignette che sembrano prendere dalle strisce sui giornali, con una narrazione fatta per brevi frasi, brevi momenti, che poi si connettono come un puzzle perfetto, incastrandosi l’una con l’altra mostrandoci la storia per intero. E forse mancano dei pezzi, perché non vediamo sempre tutto quello che succede, ma come nel miglior fumetto possibile, il bianco fra un’inquadratura e l’altra, non è mai veramente bianco, ma è riempito dalla nostra immaginazione. E dalla nostra speranza, che qualcosa, qualunque cosa vada bene a Dropsie Avenue.
Speranza, alle cui spalle, c’è sempre lei. La paura.
Ed è strano, perché è impossibile pensare che una persona abbia sempre paura. Abbiamo visto dozzine di persone, e quella a cui stiamo pensando adesso paura non ce l’ha mai. Ma poi ci rendiamo conto che non possiamo entrare nella testa di nessuno, e che forse, in realtà, certe domande, se le fanno tutti prima o poi, e l’unica cosa che cambia sono le risposte che ci diamo.
Ecco, Eisner ha pensato a tutto, e ci mostra una marea di risposte diverse, accendendo delle lampadine nei nostri cervelli, in luoghi a noi sconosciuti.

Con un tratto caricaturale e sperimentale, morbido e plastico, il tratto da cartoonist vero, che ha come il sapore di quell’America stereotipica, proprio perché sostanzialmente è uno stile che ha popolarizzato Eisner, l’umanità di Dropsie Avenue esce dalla pagina, e si piazza a fianco di noi lettori, e sembra voler leggere con noi. Trovo sempre impressionante la capacità di Eisner di dare un volto diverso (con alcuni elementi ricorrenti certo, ma quale disegnatore non ha elementi ricorrenti nel suo tratto?) ad ogni singolo personaggio che incontriamo, con persone con forme sempre diverse, nasi diversi, capigliature diverse….Persone vere, non modelli idealizzati di quel che si vuol passare come interessante, non abbozzi sporchi e cattivi, ma uno stile che perfettamente incapsula quello che si vuole raccontare: l’umanità, vista dagli occhi di qualcuno che ci ha vissuto dentro.
E che per quanto possa essere imparziale, avrà sempre parte del suo cuore rivolto in quello che fa, nessuno che produce arte non mette almeno una parte di se stesso in quello che crea, ed in questo caso, Eisner ci mette l’amore. L’amore che arriva quando la paura si quieta e si pensa in modo agrodolce, a quando avevamo paura per davvero. E si pensa alla paura, con un po’ di nostalgia, perché forse, ci saremmo potuti comportare diversamente. O forse, avremmo potuto vivere, cogliendo l’attimo, anche solo per un momento.

Si parla quindi, di un fumetto con tre ingredienti: il disegno, la trama, e il cuore. Che sono poi le basi del fumetto, è quasi ridondante dirlo. Un fumetto è fatto di disegni e parole, in egual misura e poi dalle intenzioni dell’autore, ci arriverebbe anche un bambino.
Ecco, però…però non è sempre così.
Perché quello che frega, come in tutte le ricette, sono le proporzioni. Un piatto tipico del nostro paese, è la pasta Cacio e Pepe, un piatto che ha di base cinque ingredienti: pasta, sale, acqua, pecorino romano, pepe. Ecco, provate a mettere sette pizzichi di sale, invece di tre. E poi ditemi che era tutto banale.
Eisner crea, con Dropsie Avenue un fumetto dalle proporzioni quasi perfette, con testi e disegni che vanno a braccetto, e nessuno supera mai l’altro, e con una visione storiografica ed una emotiva del tema del libro pressoché indistinguibili.
A livello puramente tecnico, non esito a definire Dropsie Avenue un capolavoro del medium, ed una pietra miliare del quale troppo poco si parla, visto che spesso viene oscurata da altre opere di Eisner, che nel bene o nel male hanno un impatto emotivo più forte, quasi fosse una spallata, mentre Dropsie Avenue è di base tutta una serie di colpetti sul torace. Che alla fine però, ti hanno incrinato tre costole.
Da un punto di vista personale, ritengo Dropsie Avenue una masterclass su come di debba fare fumetto, ma purtroppo, non è una delle mie opere preferite di Eisner. Forse perché in un quartiere tutto sommato malfamato ci vivo da trent’anni, e ad oggi non me ne sono mai andato, forse perché ho una visione del mondo pessimistica, ma in modo diverso, o forse perché non sono quello di Will Eisner, che Will Eisner ha messo in questo fumetto per risuonare con i suoi lettori. Io chi fosse Eisner non lo so, non lo conosco.
Quello che so, è che sebbene questo fumetto tocchi alcune delle mie corde emotive, e mi colpisca sempre per quanto sia bello e fatto bene, in un modo che trascende il senso dell’espressione, semplicemente, mi ha colpito meno di altre cose. Tipo “Super”.
Ma il problema, in questo caso, sono io.
Dropsie Avenue, ha un qualcosa per tutti. Per chi ama i fumetti, per chi non li ama. Per chi crede nel lieto fine e per chi no. Fatevi un giro nel quartiere. Poi magari, deciderete se abitarci o fuggire.
- Un pilastro della narrativa a fumetti
- Un excursus interessante sulla vita americana del periodo
- Una comprensione sovrumana della natura umana stessa
- Per capirlo appieno, serve una buona conoscenza storica a culturale degli USA
