Non proprio un uomo, molto più di una macchina
Il 2016, è stato un anno di cambiamenti in casa Marvel.
Dopo il kaboom del suo intero universo narrativo avvenuto sulle pagine di “Secret Wars”, la grande M decise di darsi una svecchiata e lanciare un nuovo evento chiamato “All-New All Differente Marvel now”.
L’obiettivo era molto semplice nel suo concetto: rilanciare un sacco di testate, mettendo alle redini dei nostri eroi favoriti nuovi team di creatori composti da superstar, così che potessero portare qualche voce fuori dal coro nel grande cosmo dell’Uomo Ragno e soci.
E così, lo scrittore Tom King ed il disegnatore Gabriel Hernandez Walta, lanciarono una serie su Visione, il sintezoide (che è un modo buffo per dire robot) membro dei Vendicatori, dotato di enormi poteri di controllo dei suoi legami molecolari.
Ma, invece che focalizzarsi sulle abilità del personaggio di diventare solido come un diamante od impalpabile come l’aria, King e Walta, ci raccontano di come l’androide, avesse un sogno: quello di avere un famiglia.

E come si può avere una famiglia quando si è un essere sintetico? Semplice. La si costruisce.
E così, in 12 numeri, King e Walta, ci raccontano la vita della nuova famiglia Visione, composta dall’androide capofamiglia, dalla moglie Virginia e dei gemelli Vin e Viv dopo essersi stanziati in una piccola cittadina dell’America media. Se vi sta salendo un certo senso di inquietudine, leggendo questa idea, non vi preoccupate, l’idea è proprio quella.
Gabriel Walta, prima di arrivare alla Marvel, si era occupato quasi solo di fumetto Horror e, al contrario di altri artisti che al cambio di genere cambiano anche il loro stile, questo disegnatore ha deciso di restare fedele a se stesso. Anche perchè, il cambio di genere è molto più sottile di quello che sembra. Il suo tratto secco ed asciutto, ben si sposa con l’atmosfera della piccola città fatta di sussurri e segreti, che funge da sfondo della vicenda. Personalmente, trovo che Walta sia abilissimo a fare moltissimo con molto poco. Secondo la miglior tradizione Marvel, il disegnatore usa gli occhi grossi e completamente bianchi della famiglia visione, come un antenna perfetta delle loro emozioni, creando un fortissimo contrasto fra quello che provano degli androidi, e quella sensazione che ci fa pensare che sotto sotto i loro sentimenti non siano veri. Sensazione che forse anche i nostri protagonisti provano. E le espressioni di Walta cementificano questa idea anche nel loro subconscio.

La calma e la semplicità del tratto del nostro, contrastano anche perfettamente con le scene più crude del fumetto. Si diceva prima che Walta ha un background nel fumetto horror, un genere che adora giocare con le sensazioni più piccole della nostra mente, trasformando cose che razionalmente sentiamo normali, in qualcosa di mostruoso che stuzzica il lato più primitivo del nostro cervello. Ogni momento, ogni figura in una tavola di Walta è al suo posto, ma è al suo posto con una precisione troppo maniacale, una precisione robotica, che fa proprio questo. Ci fa credere che stia per succedere qualcosa di terribile.
E qualcosa di terribile accade, anche senza botte od azioni avventate, e dove lo possiamo vedere? Negli occhi bianchi e vuoti dei nostri protagonisti. Che vuoti non sono per nulla.
Tom King, dalla sua, ha un background di agente della CIA. Per questo ha iniziato a scrivere principalmente storie su due argomenti: lo spionaggio, e la visione della realtà. Visione. Vorrei pensare di aver fatto un gioco di parole buffo, ma forse sono solo stato manipolato.
Le idee alla base di questa storia, ovverosia se i robot possano pensare, se la vita artificiale sia davvero vita, e se il mondo sia pronto ad accettare una sua possibile evoluzione, non sono nulla di nuovo. Non sono nulla di nuovo neanche nella storia della Visione, personaggio che ha affrontato questi problemi fin dalla sua creazione negli anni 60, quando ci dissero che anche un androide può piangere.
King riesce però a mescolare l’elemento robotico, focalizzandosi però sul suo contrario, ovverosia quello umano.

L’illusione infatti è che questa storia sia un thriller, un horror psicologico, una tragedia Shakesperiana. Ed in effetti può essere considerata tutte questa cose, ma alla fine questa è soprattutto una storia sulle contraddizioni. Sul fatto di quanto le cose ci sembrino belle e pure solo quando vanno bene a noi e ci portano vantaggio, ed invece siano terribili quando vanno contro la nostra visione del mondo.
Uomo contro Robot, amore platonico contro amore folle, Eroe contro Criminale, Verità verso illusione.
Sembra semplice capire quale personaggio rappresenti questi archetipi, in ogni momento della narrazione.
Invece, con molta semplicità, tutti i personaggi sono tutti i tropi narrativi allo stesso momento.
Non proprio uomini, molto più di macchine, i personaggi della nostra storia sono una classica scusa Marvel, quella di nascondere i veri problemi dell’Uomo sotto una patina di fantastico, che sotto sotto e molto più vero di quanto non sembri.
Come per molte avventure particolari nel genere dei supereroi, su questa storia è stato detto di tutto. “Il Picco della Marvel”, “Il più bel fumetto che leggerete” e molte altre cose, tutte altrettanto bombastiche ed esagerate.
Io, nella mia vita al di fuori delle recensioni, dove scrivo in modo esagerato perchè credo aiuti in certi casi il lettore ad empatizzare con le mie idee (che essendo scritte hanno un peso diverso da quelle parlate) in realtà sono una persona molto morigerata. Una persona morigerata che si fa chiamare “il campione del popolo”, ammetto che sembri stupido. Ed in effetti lo è. Perchè, come esseri umani, siamo fatti di contraddizioni.

Questo è il grande punto di forza di Visione: l’essere un fumetto intelligente che usa come guida dei tropi narrativi già esistenti, un personaggio con una fama più o meno ampia (grazie alla sua apparizione in un franchise cinematografico miliardario), per raccontare una storia sull’animo umano che, come l’animo umano stesso, è poeticamente selvaggia.
Certo, una storia ben lungi dall’essere perfetta, il numero 4 della testata pensa sia ancora utile usare come artificio narrativo una caricatura razziale, e la cosa mi manda abbastanza in bestia, pur comprendendo la sua funzione nel grande schema delle cose. Resta il fatto che si poteva raggiungere lo stesso risultato, in modi più intelligenti, visto l’arguzia della serie e del team creativo.
Alla fine di tutto, Visione di Tom King e Gabril Walta è un abilissima fusione di generi e di stili, uniti sotto un comparto autoriale solidissimo, che si compensa perfettamente nelle sue mancanze, mettendo sulla bilancia ragione e sentimento, pensiero ed emozione, in un nastro di mobius infinito, che sale e scende nel cuore nella mente di chi legge questa avventura, facendo sì che, anche dopo una sola lettura, sia molto, molto difficile dimenticarla.
Perchè sì, anche un androide può piangere. Ce lo hanno detto.
Anche noi possiamo farlo. Anche perchè lo abbiamo fatto dopo aver finito questo albo.
- – Atmosfere horror da manuale
- – Un’occhio focalizzato su tematiche forti
- – Un giro di prospettiva accattivante
- – Sebbene sia una serie completa, per apprezzarla al massimo serve un po’ di conoscenza pregressa

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